Ormai ci siamo. L’8 dicembre iscritti ed elettori del Partito democratico andranno alle urne (negli ormai celeberrimi gazebo) per votare il proprio segretario. La campagna elettorale che ha tenuto banco in queste settimane non è stata particolarmente esaltante. A differenza delle primarie dello scorso anno, le consultazioni di questo fine settimana non vivono strettamente nell’orizzonte della corsa per Palazzo Chigi: chi domenica sera avrà la meglio sarà eletto segretario di un partito e solo successivamente, celebrare quando si terranno nuove elezioni politiche, si capirà se la party leadership si identificherà con la coalition premiership. Forse proprio l’assenza di una posta in gioco come il governo del Paese potrebbe almeno in parte contribuire a tenere gli elettori di centro-sinistra lontani dalle urne. Lo stesso confronto fra i candidati, e la conseguente risonanza avuta sui media, non è stato di pari interesse rispetto a quello dello scorso anno. Troppo ripiegato su logiche interne, al più indirizzato verso le sorti del governo in carica, e poco attento ai veri problemi del Paese, esso deve aver indotto gli elettori a ritenere la corsa per la segreteria del Pd un semplice “affare di famiglia”.

Ma sul risultato di domenica incombono anche altre criticità. Una fra tutte, comunque destinata a giocare un ruolo importante, soprattutto per le conseguenze di ordine politico che può produrre, è la partecipazione. Quanti andranno a votare il giorno dell’Immacolata? Dagli oltre 4 milioni dell’età dell’oro delle primarie dell’Unione vinte da Romano Prodi ai poco più di tre milioni delle primarie Italia Bene comune vinte da Pierluigi Bersani, vi è circa un milione di selettori in meno, a riflettere un andamento sostanzialmente in discesa. Del resto, direbbero i detrattori, negli ultimi sette anni sono state organizzate ben sette elezioni primarie tra candidate selection e party leader selection. Ciò che in parte ha contribuito a inflazionare questo strumento, nonostante sia fra i pochi elementi di novità presenti nel panorama di una politica, come quella italiana, investita da una profonda crisi di legittimazione.

Se, in base a una stima ragionevole, possiamo ipotizzare che andranno a votare circa due milioni di elettori, il punto fondamentale diventa quale consenso incasserà il front runner Matteo Renzi. In una prospettiva ancora una volta ragionevole (laddove la ragionevolezza è d’obbligo, per contrastare quella fiera dei numeri che spesso si affolla nelle pagine dei quotidiani nei giorni che precedono il voto), le nostre stime portano a dire che il Sindaco di Firenze dovrebbe conquistare non meno del 58% (si veda l’intervista a Fulvio Venturino sul Corriere della sera del 4 dicembre).

Una vittoria piena dal punto di vista del voto, però, non necessariamente può assicurare a Renzi una concreta affermazione alla guida del partito. Perché, il giorno dopo il voto, Renzi si troverà comunque a fare i conti con due importanti fattori di condizionamento, che abbiamo avuto modo di misurare nel corso di queste settimane. Il primo riguarda il ruolo di Gianni Cuperlo, come espressione dei settori del Pd, militanti e quadri dirigenti, che più si riconoscono nell’idea di un partito tradizionale, espressione di una sinistra di matrice socialdemocratica molto lontana dalla vocazione liberaldemocratica di Renzi. Ciò che trova corrispondenza sia nel sostegno fra gli iscritti che Cuperlo eredita dal voto a Bersani del 2012, sia nella correlazione fra il radicamento organizzativo del partito (incidenza degli iscritti sugli elettori) e il voto
allo stesso Cuperlo evidenziata in occasione delle convenzioni dei circoli, a partire da alcuni grandi centri urbani. Il secondo riguarda il ruolo di Pippo Civati, che se da un lato, al pari di Renzi nelle primarie 2012, rappresenta lo sfidante per eccellenza dell’attuale gruppo dirigente, dall’altro ha i suoi punti di forza in un elettorato dove il Pd è debole e poco insediato, anche se tendenzialmente più movimentista rispetto a quello che era riuscito a portare alle urne lo scorso anno il Sindaco di Firenze. L’esito del voto, dunque, non sarà da solo in grado di garantire a Renzi una salda leadership partitica, presupposto peraltro indispensabile per alimentare una credibile candidatura alla premiership. I giochi all’interno del Pd potrebbero riaprirsi da subito. E il successo alle primarie, come già accaduto in altre occasioni, potrebbe rappresentare l’inizio della parabola discendente del nuovo leader.

 

"Questioni Primarie" è un progetto di Candidate & Leader Selection e dell'Osservatorio sulla Comunicazione Politica dell'Università di Torino, realizzato in collaborazione con rivistailmulino.it. In vista delle primarie del Pd, ogni settimana, sino all'8 dicembre, verranno ripresi contributi pubblicati nell'ambito dell'iniziativa tutti disponibili anche in pdf sul sito di Candidate & Leader Selection. Questa settimana contributi di Luciano Fasano, Arturo Parisi, Gianfranco Pasquino, Franca Roncarolo, Mario Rodriguez, Marco Valbruzzi, Luca Bernardi, Giulia Sandri, Antonella Seddone, Stefano Rombi.