«Senza paragoni non si va da nessuna parte», scrive Rutherford Klüger, in Vivere ancora, il racconto della sua vita, trascorsa in parte in un lager nazista. E allora, via libera a queste due equivalenze.

A) Renzi : Letta = De Mita : Goria

B) Renzi : Letta = Rutelli : Amato

Seconda metà degli anni Ottanta. Parte seconda dell'equivalenza A)

Giovanni Goria, democristiano, nel luglio del 1987 (dopo le elezioni che seguirono la fine del governo Craxi), divenne il più giovane presidente del consiglio italiano (primato rimasto inviolato anche con Letta il giovane). Quella carica era ambita da Ciriaco De Mita, segretario della democrazia cristiana, ma gli sbarrò la strada Craxi: tra i due le affinità furono rare.

Che la vita del governo Goria sarebbe stata breve e travagliata lo si era più che intuito dalle dichiarazioni rilasciate al momento della sua nascita dal segretario della Dc. Come riportano le cronache dell'epoca, mentre Goria stava ricevendo dal presidente della repubblica (Cossiga) l'incarico di formarlo, De Mita ne prendeva le distanze, dichiarando che quello che sarebbe nato non era il governo voluto dalla democrazia cristiana.

E, in effetti, Goria ebbe una breve vita travagliata. Il suo partito era percorso da battaglie interne e non molto desideroso di fare quadrato anche per contenere le spinte degli altri partiti della coalizione. Più volte impallinato dai franchi tiratori (annidati, si ritenne, soprattutto nella Dc) nelle votazioni a scrutinio segreto, il governo non riuscì a passare indenne neanche nel voto sulla legge finanziaria.  «A quel punto la Dc reputò che il governo avesse esaurito il suo compito e indusse il Goria a dimettersi» (dalla voce «Goria Giovanni» dal Dizionario Biografico degli Italiani, dell’enciclopedia Treccani). Goria restò in carica 9 mesi.

Nell'aprile del 1988 gli successe De Mita. Durò fino al luglio del 1989. Sei mesi in più di Goria.

Albori del nuovo secolo. Parte seconda dell'equivalenza B)

Giuliano Amato, socialista e dottor Sottile dell'era Craxi, a Natale del 1999, succedette, nella guida del governo, a Massimo D'Alema, il quale a sua volta aveva preso il posto di Romano Prodi, sgambettato nell'ottobre del 1998 dal partito della rifondazione comunista, ma sulla cui caduta si allungarono anche le ombre di un complotto dello stesso D'Alema.

Amato portò alla sua scadenza naturale la XIII legislatura, quella della prima vittoria dell'Ulivo. Le elezioni per eleggere i parlamentari della XIV legislatura furono fissate per il 31 di maggio del 2001.

Nel centro destra non ci fu necessità di scegliere il candidato: era sempre stato Silvio Berlusconi, fin dal giorno dopo la sua sconfitta alle elezioni di cinque anni prima.

Anche il centro sinistra avrebbe potuto avere un candidato naturale: il presidente del consiglio uscente. Però non l'ebbe. Ad Amato non si muovevano particolari contestazioni su come aveva governato. Ma ciò non fu sufficiente per evitare che altri fossero canditati e si auto-candidassero.

Lanciò la sua candidatura, a sfidare prima Amato e poi Berlusconi, anche Francesco Rutelli. Era sindaco della capitale dal  1993, e non avrebbe potuto ricandidarsi (per la regola dei due mandati per i sindaci) alle elezioni comunali del maggio 2001. Nel gennaio di quell'anno divenne anche presidente della Margherita, uno dei partiti della coalizione di centro sinistra.

Quando gli altri sfidanti si ritirarono, restarono Amato e Rutelli: «due persone che sono intercambiabili», dichiarò il sindaco (la Repubblica,13 settembre 2000), senza accorgersi che, così dicendo, si enfatizzava la voglia di potere della sfida.

La singolar tenzone ebbe termine con il ritiro, nel settembre del 2000, dalla corsa di Amato, con gran sollievo dei segretari di partito, contenti di evitare lacerazioni nella coalizione (da essa rimase fuori solo rifondazione comunista con un proprio candidato premier).

Il gran rifiuto spianò a Rutelli la strada per sfidare Berlusconi. La percorse fino in fondo, guidando la sua coalizione a una sconfitta che la lasciò 15 punti percentuali alle spalle del centro destra.

Oggi. Parte prima di entrambe le equivalenze

Letta e Renzi sono due giovani politici con una impronta democristiana. Il loro ruolo attuale e futuro nel partito democratico segna il venir meno dell'egemonia degli ex comunisti all'interno di quel partito. Letta è un presidente del consiglio che più che guardarsi quotidianamente dall'opposizione, deve fare i conti con il suo alleato di centro destra e con una parte del suo partito, soprattutto con Renzi.

Il sindaco di Firenze aspira, legittimamente, a sostituire Letta. Ancora non è chiaro se diventando prima segretario del Pd. Molto meglio della prosa di qualunque commentatore politico, il "sentimento" di Renzi verso Letta l'ha raccontato Giannelli sul Corriere della sera del 31 maggio scorso, con una vignetta in cui il sindaco abbracciando il presidente gli sussurra: «sono al tuo fianco non staccherò mai la spina sarò sempre la tua spina nel fianco».

Da segretario o da sindaco, con entrambe le cariche o senza nessuna di esse, ha poca importanza, ma se dovessero esserci nuove elezioni politiche, e Renzi fosse il candidato presidente del consiglio del centro sinistra, egli non correrebbe alcun rischio di fare la fine di Rutelli. Se anche non gli riuscisse di asfaltare il centrodestra – come  non riuscì a Bersani di smacchiare il giaguaro – di certo non sarebbe asfaltato a sua volta dal competitore. Non c'è mai limite al peggio, ma senza Berlusconi, non potrà andare peggio di come ė andata l'ultima volta (al netto dell'incognita Grillo).

Più complesso, per Renzi presidente del consiglio in quanto vincitore di elezioni (difficile ipotizzare che possa succedere a Letta con il parlamento in carica), potrebbe rivelarsi non percorrere la parabola temporale di De Mita. Per allontanare da sé questo rischio dovrebbe dimostrarsi capace di promuoverla la ripresa, e non solo di agganciarla; di riuscire nel compito, ben più difficile di quello di limare qualche decimale di punto percentuale all'addizionale comunale dell'Irpef a Firenze, di tagliare le tasse in misura percettibile da cittadini e imprese; di non attardarsi in lunghe attese, non più imputabili alle larghe intese.

È un compito non facile. L'energia e la battuta pronta per assolverlo non gli mancano. Speriamo abbia anche idee, proposte e programmi adeguati.