Silenzio in Germania sulla differenza tra nord e sud Europa. Vi è una sorta di accordo non scritto fra i quattro partiti che dominano la scena politica in Germania. Cristiano-democratici, socialdemocratici, verdi e liberali hanno deciso di ignorare il tema dell’euro. Mentre in Francia il partito di Marine Le Pen raccoglie sempre più consensi euroscettici e in Italia cresce il malessere nel confronto della moneta unica, in Germania ci si comporta come se il tema non fosse all’ordine del giorno. La stessa Linke, da quando è tornata di nuovo sotto la guida di Gregor Gysi, tace sull’argomento e si concentra sulla parola d’ordine che è la ragione del suo esistere: lotta alla grande finanza e ridistribuzione del reddito a partire dall’alto. Oskar Lafontaine andava più in là. È a Bruxelles, per lui,il centro del potere finanziario da combattere. Ma il vecchio leone è ai margini. L’ostracismo dell’establishment politico tedesco è vissuto come una congiura da parte degli euroscettici. Il partito dei professori, com’è chiamata la nuova formazione politica di Alternative für Deutschland, ritiene di essere discriminata dal silenzio che anche i media hanno fatto calare sull’argomento. La Germania non ha voluto l’euro per dominare gli altri Paese europei, semmai è stato il contrario. Francia e Gran Bretagna si ponevano il problema di come tenere sotto controllo la Germania della riunificazione e la moneta unica serviva a questo. Lo stesso cancelliere Helmut Kohl ne era consapevole quando affermava che, più che dagli altri, la Germania aveva da guardarsi da se stessa. Ed è un fattore che domina la classe politica tedesca. Non vi è Paese in Europa dove il dibattito politico sia così attutito dal bisogno di non spaventare gli elettori e i vicini. Non vi è nulla di gridato e quando avviene per esempio con i titoli alla Bild Zeitung del genere «E voi greci falliti vendetevi ora le isole» non vi sono conseguenze perché tutto viene tacitato e la polemica che seguirebbe subito smorzata. Il vero protagonista di questa campagna elettorale è dunque il silenzio. Il che spiega anche una sorta di tutela esercitata dalla classe dirigente verso un elettorato che, se lasciato ai suoi istinti, probabilmente avrebbe già mandato all’aria la moneta unica. Angela Merkel compra il silenzio dell’opinione pubblica con il benessere e i successi dell’economia. È questa la ragion d’essere del Paese dalla sua rinascita sulle rovine della seconda guerra mondiale. E la moneta unica assolve a questa funzione. I grandi gruppi, le multinazionali sono i grandi sostenitori della politica cauta e non gridata del governo. Ne colgono la portata strategica perché l’egemonia tedesca si afferma in Europa sulla strada dell’economia, non certo della politica. La politica non può lanciare messaggi di affermazione nazionale come la Francia. Dovesse succedere, l’Europa divisa e disorientata troverebbe finalmente una ragione comune d’intesa, ossia la lotta al tedesco prevaricatore. Perché ciò che Alternative für Deutschland nasconde non è tanto l’avversione declinata in termini apparentemente oggettivi – sachlich direbbero i tedeschi cioè attinenti alla cosa – ma quello che si può esprimere in una domanda: se i Paesi in crisi, Francia compresa, fossero come la Germania la crisi dell’euro esisterebbe? Per gli euroscettici, no. E il motivo sta nel fatto che il problema ai loro occhi non è il ritardo economico o competitivo degli altri Paesi ma la loro inaffidabilità. La diversità diventa ostativa se non aiuta alla comprensione. E la lettura che l’opinione pubblica tedesca fa dell’Europa prima che economica è morale. La diversità che si rivendica è appunto questa. Un tema scivoloso perché da una constatazione d’ordine etico-morale ne discende poi una di identità culturale. Un confronto che poi porta a una gerarchia dove si annida il pensiero della superiorità. Ecco perché occorre evitare l’argomento. La politica ufficiale parla il linguaggio dell’orgoglio per i propri risultati ma al contempo ribadisce che si è uguali agli altri. Un principio di eguaglianza che la crisi dell’euro ha fortemente incrinato. Ed è questo che ribolle nella pancia profonda del Paese. Una diversità tra i popoli d’Europa che crea insicurezza in tutto ciò che si ha in comune con gli altri. Quando Peer Steinbrück, il candidato alla cancelleria socialdemocratico, definisce clown Berlusconi e Beppe Grillo dice una cosa che tutta Europa pensa ma i primi a zittirlo sono stati il mondo politico tedesco, a cominciare dal suo gruppo politico e poi i giornali, Bild Zeitung compresa. Perché in Europa la stampa britannica può chiamare con un acronimo «maiali» i Paesi mediterranei e la non amata Irlanda e la cosa suona cool e viene imitata dal mondo intero. Ma se lo stesso lo fanno i tedeschi ci vuole un attimo per evocare i fantasmi del passato farli diventare tutti razzisti. Questo è l’incubo della classe dirigente a Berlino. Il partito dei professori esprime il malessere di un elettorato che spazia dal mondo accademico al cosiddetto Mittelstand cioè le piccole e medie imprese, la fondazione delle Familienunternehmen, le imprese familiari. che in Germania ha curato un inserto a pagamento di quattro pagine per la Frankfurter Allgemeine Zeitung. La parola chiave è stabilità e il timore è di doverla perdere. Il Paese è competitivo come mai lo è stato e il governo di Angela Merkel è inattaccabile per chiunque voglia criticarne i risultati. Ne consegue che l’unico fattore che può muovere gli elettori è la paura. L’obiettivo è dar voce e risalto al tema dell’inaffidabilità dell’euro. Esiste un partito della protesta che è sotterraneo, si potrebbe dire clandestino. AfD, la nuova forza euroscettica, gli dà voce ma è data al 3%. Sono molti però quelli che simpatizzano e si vergognano di dirlo. La vera partita delle elezioni tedesche si gioca qui.