Il Rapporto realizzato dal Miur in merito agli alunni stranieri ci dice che circa il 78% delle nostre scuole ospita alunni con cittadinanza non italiana. È evidente che con una diversa legge sulla cittadinanza per i figli di immigrati questo dato sarebbe molto diverso. Ma a parte il dibattito mai risolto tra “ius sanguinis” e “ius soli” (che tuttavia sarebbe auspicabile facesse qualche passo avanti) il dato colpisce, ancor più in questi giorni in cui si dibatte furiosamente mentre le lezioni hanno inizio sui rischi e sulle opportunità che la presenza di bambini e ragazzi stranieri, o figli di stranieri, porta con sé.
Pochi giorni fa ero in una scuola superiore. Si stavano svolgendo gli esami di recupero del debito (quelli che ai miei tempi si chiamavano più semplicemente esami di riparazione), e nell’atrio della scuola un bel gruppetto di ragazzini, maschi e femmine, si scambiavano le ultime impressioni, libri e appunti alla mano, in attesa del loro turno. Molti di loro erano stranieri. O almeno uno sguardo sommario poteva giudicarli tali dal colore della pelle o dal taglio degli occhi. In realtà, ad ascoltarli, ci si accorgeva facilmente della loro cadenza molto bolognese, con una bella esse arrotondata e molte parole dello slang adolescenziale. Adam, uscito per primo dopo la prova orale di storia, saltellando sulle sue Nike giallo flash diceva che adesso era “a bolla” (insomma, l’esame gli era andato bene e per qualche giorno se la poteva godere). Mentre una compagna italiana accettava la sua proposta di andarsene fuori la sera con un secco “ci sta”. Difficile, in quel contesto, capire dove stava lo steccato tra la copia taroccata straniera e l’originale autoctono. Davanti a me c’era soltanto un gruppo di ragazzetti, più o meno a piombo, più o meno agitati, più o meno insicuri.

A tutti loro dovrebbero venire insegnate, tra l’altro, la storia e la lingua italiana. Eppure la presenza di alunni stranieri nelle “nostre” classi preoccupa o addirittura indigna. E in questi giorni dà l’occasione per molti commenti.

Anche qui non c’è un meglio per tutti. Tutto sommato inutile e dal puzzo ideologico e controproducente il ragionamento pseudo multiculturale (se lasciato incompiuto, come quasi sempre accade) secondo cui la presenza di ragazzi stranieri “arricchisce”. Avvilente, per non dire altro, quello secondo cui la presenza di ragazzi stranieri indebolisce la classe e impedisce ai “nostri” ragazzi di andare avanti con il programma. Credo che anche per fronteggiare questo problema in realtà sarebbe utile adottare un’impostazione del ragionamento come quella che Mauro Piras ha usato, molto bene, nel parlare di bocciature, qualche giorno fa, in uno dei pezzi più belli sulla scuola italiana che io abbia letto negli ultimi tempi. Aprendosi a una maggiore elasticità e personalizzazione dei percorsi di studio. E, certamente, accrescendo le possibilità di quei ragazzi stranieri di affrontare il vero, grande ostacolo che impedisce loro di partire alla pari con i loro compagni (la conoscenza della lingua italiana) e di superarlo. Da questo punto di vista impegnare una parte dei fondi recuperati dal recente decreto per la scuola per il sostegno (sostegno a chi, e per che cosa, verrebbe da chiedersi) appare fondamentale.

Altrove, ad esempio in Germania, specifiche politiche pubbliche organizzano corsi di integrazione, di lingua e cultura di base del Paese ospite (Integrationskurses) anche per i genitori dei ragazzi stranieri, con incentivi per chi frequenta con regolarità. Pensarci e mettere in pratica qualcosa di analogo – oltre alle lodevoli scuole di italiano per stranieri, organizzate da noi per lo più su base volontaria – sarebbe un passo molto importante per superare i soliti dibattiti. E limitare il numero delle famiglie che, allarmate dalla presenza anche solo di pochi stranieri in classe, minacciano di ritirare i propri figli.

 

 

p.s.: come è noto, sia per territorio sia tipologia di scuola, i casi sono molto diversificati. Un utile commento al Rapporto Miur è questo; l'intero rapporto, riferito all'anno scolastico 2011/2012, con dati che illustrano una situazione straordinariamente variegata, è consultabili direttamente sul sito del Miur. Questo articolo viene pubblicato anche su linkiesta.it