A volte la crisi della politica si vede più da episodi apparentemente marginali che dagli eventi che tengono la centralità della scena. Mi sembra questo il caso della querelle imbastita da alcuni ambienti del centrodestra e da qualche frangia della stessa sinistra populista  sulla vicenda della creazione da parte del presidente della Repubblica di quattro nuovi senatori a vita. Si dirà: ma sono dibattiti di folklore da parte di frange in cerca di notorietà solleticando irrazionalità elementari. Vero. Ma altrettanto vero che nessuno, almeno a mia conoscenza, è intervenuto davvero per contrastare questa canea. Si dovrebbe sapere che è pericoloso non reagire al qualunquismo, che in questo caso si è palesato davvero in maniera stupefacente. Innanzitutto stiamo parlando di un attacco scriteriato ad un potere discrezionale del presidente della Repubblica. Le critiche infatti puntano a sostenere, del tutto infondatamente come vedremo, che Napolitano avrebbe fatto scelte politiche eleggendo quattro senatori a vita “di sinistra” che così altererebbero gli equilibri politici di quella Camera. L’argomentazione è piuttosto curiosa ed è in realtà una difesa della – a mio giudizio non ottima – consuetudine passata di nominare senatori a vita politici di lungo corso. In quel caso, essendo le loro “appartenenze” non solo dichiarate ma certificate da lunghe militanze, occorreva sempre il bilancino per accontentare quelli di una parte e quelli dell’altra.

Napolitano ha scelto questa volta, lodevolmente, di riportare l’istituto a quello che era il suo spirito informatore: simbolizzare l’inserzione in un organismo di rappresentanza politica di personaggi che hanno “illustrato la Patria”. Ovvio che la ristrettezza di posti a disposizione comporta necessariamente scelte arbitrarie: si deve presumere che in Italia ci siano più di cinque persone che hanno illustrato in maniera considerevole il “genio” della nazione. Tuttavia quel problema rimarrebbe anche se i posti fossero dieci volte tanti.

Come sempre, in politica deve prevalere il criterio “rappresentativo”: cioè chi è scelto è scelto come incarnazione di un più vasto consesso a cui, con la sua nomina, il Paese rende omaggio. Ciò è precisamente quello che Napolitano ha fatto nominando due personaggi delle “arti” (Abbado e Piano) e due personaggi delle “scienze” (Rubbia e Cattaneo).

Ci si sarebbe dovuti aspettare che l’opinione pubblica reagisse cogliendo questo messaggio, soprattutto in chiave pedagogica e specialmente per le giovani generazioni: chi si impegna nell’eccellenza nei due grandi campi della creatività umana dà un contributo essenziale alla crescita dell’Italia. Bisogna divenire consapevoli che questi sono contributi importanti che “pesano” nella promozione del nostro ruolo internazionale e dunque contribuiscono anche ad aprire prospettive di sviluppo per tutti e specie per le giovani generazioni.

Invece in un Paese che sembra sempre più la parodia della Verona shakespiriana dei Montecchi e Capuleti (per di più senza Giulietta e Romeo) l’attenzione si è concentrata da parte dei vari pasdaran sul tema dell’aiuto che questi nuovi quattro voti avrebbe portato alla fiducia per un eventuale “Letta bis”. Ora non occorre una cattedra di politologia ad Harvard per spiegare l’infondatezza di questo assunto. I quattro sono appunto non politici di professione, ma, diciamo così, professionisti impegnatissimi nei rispettivi campi. Anche ammesso che si liberassero dai loro impegni per votare il giorno della fiducia, ci sembra irrealistico immaginarli costantemente in Senato per sostenere il nuovo governo in ogni suo passaggio delicato (cioè, nel caso prospettato, praticamente ogni giorno). Dunque quel voto ipotetico determinante per la fiducia sarebbe vanificato nei giorni seguenti.

Tocco solo di sfuggita il tema, francamente ripugnante, di chi ha voluto insinuare che la età non canonica della Cattaneo significasse un costo per la politica perché le sarebbe stato pagato lo “stipendio” per un tempo molto lungo. Ovviamente l’osservazione è imbecille: il costo è quello di un posto di senatore a vita e rimane uguale e costante sia che ne benefici una persona, sia che si ripartisca in successione su più di una persona.

Se si volesse ragionare in termini più strutturali il problema da porsi è semmai che in questo caso emerge, del tutto marginalmente, la questione della natura della seconda Camera riguardo alla questione di fiducia. Quanto più si vuol fare del Senato un “alto consesso”, tanto più bisognerebbe accelerare la riforma che concentra la fiducia al governo in una sola Camera, quella dei deputati. Così era nello Statuto Albertino, così è, per esempio, in Gran Bretagna con la Camera dei Lord.

Questo consentirebbe davvero di esplorare modelli di formazione del Senato in cui si ampliasse la presenza e dunque la capacità di espressione della “società civile”, nel senso della sua componente meno professionalizzata alla lotta politica.

Questo però è un tema di riforma costituzionale e dunque, purtroppo, relegato ai desiderata per il futuro. Intanto sarebbe bene concentrarsi ad usare appropriatamente l’occasione pedagogica che Napolitano che offerto al suo Paese, insignendo, come si diceva una volta, del laticlavio personalità che hanno affermato il nostro genio nel mondo e che l’hanno fatto grazie alle loro “virtù” e non ai tristi giochetti delle sponsorizzazioni di potere.