Il 23 maggio scorso il Tar della Lombardia ha annullato quanto deciso nel 2011–2012 dal Senato accademico del Politecnico di Milano, ritenendo illegittimo l’uso esclusivo della lingua inglese, a partire dal 2014, in tutti i corsi di laurea magistrale e di dottorato. Eppure sarebbero bastati un po’ di buon senso e una verifica delle best practices altrui, in particolare quelle adottate a Berlino e a Parigi, perché è con tali realtà che dobbiamo in primo luogo confrontarci.

Innanzitutto è opportuno considerare le motivazioni che secondo il Tar erano alla base della scelta operata dal Politecnico. C’è qualcuno che abbia mai dimostrato che la lingua inglese è superiore alla nostra? E che studiando inglese i nostri giovani migliorano? Ovviamente no. Altrimenti, non dovremmo limitarci solo ai corsi avanzati di una sola università, ma dovremmo decidere che tutto – a cominciare dalla Costituzione – andrebbe riscritto in inglese!

Ciò che intanto accade all'estero, e di cui si sono accorti da subito a Berlino e a Parigi, è che l’inglese è invece indispensabile se vuoi essere "internazionale", cioè se desideri avere nelle tue aule studenti – e docenti – da tutto il mondo, e possibilmente i migliori. E nel resto dell'Unione europea chi intraprende questa strada non è una sola università, che si muove quasi di nascosto, ma viene decretato tramite una legge – e quindi al di fuori della portata di un qualsivoglia Tar – dal Paese intero.

Se andiamo a vedere che cosa hanno deciso, ben dieci anni fa, gli 82 Max Planck Institutes tedeschi e le 11 “università di eccellenza” selezionate dal governo tedesco (iniziò l’allora cancelliere Schröder e l'individuazione di questi istituti fu completata in seguito da Angela Merkel), è chiaro che l’inglese serve in primo luogo per competere con Oxford e Harvard.

Lo stesso accade in Francia grazie alla nuova legge universitaria (portata avanti dalla sinistra: avremo mai una sinistra “utile” anche in Italia?), che ovviamente non rinuncia all’orgoglio nazionale (nessuno può comunque laurearsi in Francia se non supera un esame di lingua francese) ma consente alle università che lo desiderano e sono in grado di farlo di tenere corsi di laurea in inglese; sempre con l'obiettivo di attirare studenti dal resto del mondo.

Nel nostro caso, grazie all'intervento del Tar della Lombardia, è stato evitato che da qualche parte (magari alla Bovisa) si trovassero in aula dieci professori italiani e cento studenti italiani a parlare in inglese (magari scadente), dopo aver tradotto in inglese testi nostrani che nessun grande editore scientifico internazionale avrebbe mai pubblicato. Che dire: beati i Paesi che non hanno bisogno del Tar!