Ed ecco, finalmente, il nuovo papa: Francesco. Un nome, un programma. E forse sarà così, in ragione delle speranze che si possono leggere negli occhi dei tanti fedeli inquadrati dalle televisioni di tutto il mondo e, del pari, da quanto lasciano intendere le prime scelte fatte dal nuovo pontefice.

Dalla centralità che ha voluto dare all’essere innanzitutto il papa vescovo di Roma (addirittura, portando al balcone il suo “vicario” – il cardinale Vallini – che ha detto “lo aiuterà”, davvero un unicum), al legame diretto con il “popolo di Roma e di Dio”, ritornando a quell’idea di comunità e di collegialità propria dell’ecclesia fin dalle sue origini. E poi, ultimo ma non ultimo, il tema della fratellanza e della carità; propri di un pastore che, pure da papa, parrebbe voler confermare una ricerca di frugalità ed essenzialità, tipiche di un gesuita che vive con uno stile “francescano”.

Insomma, papa Francesco sembra presentarsi proprio con tutte le credenziali per recuperare non soltanto la credibilità di una Chiesa ferita da troppi scandali ma anche con la forza di volontà – quel vigore che richiamava Benedetto XVI mentre rinunciava al soglio petrino? – per imporre un potenziale cambio di marcia.

What else dunque, verrebbe da dire. Eppure, questa scelta non può non porre di fronte ai nostri occhi un tema che potrebbe emergere proprio in ragione dell’elezione del cardinale gesuita Jorge Bergoglio; una prospettiva, interna ed esterna alla Chiesa, che potrebbe essere riassunta così: quale ruolo avranno gli ordini religiosi nel nuovo pontificato? D’altronde, un ruolo più forte di prima lo avranno certamente. Ed è corretto interrogarsi, a maggior ragione se si considera quanto hanno contato i movimenti e le spiritualità negli ultimi due pontificati e con quale forza (e potere) hanno orientato sia le linee di scelta teologica sia – come noto – quelle di governo, in senso stretto, della Curia romana.

Dunque, sarà concesso agli ordini – in primis ai gesuiti, fortemente penalizzati fin dagli anni Settanta – quello che dalla seconda metà degli anni Ottanta è stato concesso ai movimenti? E poi, come sarà gestita la potenziale convivenza-transizione tra movimenti e ordini dentro la Santa sede, la Curia e lo Stato della Città del Vaticano?

Queste due domande hanno naturalmente un senso solo se si parte da un assunto comune: che ogni spiritualità, carisma, scelta religiosa abbia dentro di sé l’obiettivo di rendere più forte, più aperta e più ampia l’universalità dell’opzione cristiana, cattolica appunto, nel quadro di una scelta spirituale che singoli o associati possono compiere nel nome del Vangelo.

Partendo da questa considerazione, cioè un terreno condiviso e non slabbrato rispetto alla dottrina della Chiesa, evidentemente queste due domande hanno una loro giustificazione. E rispetto ad esse cosa è possibile immaginare in merito?

Che ogni scelta che punti a privilegiare il particulare, vuoi di una spiritualità vuoi di un carisma vuoi di una provenienza geografica, è stata già sconfitta dalla storia e dall’andamento della Chiesa di questi ultimissimi anni. Gli errori, gli scandali, i problemi emersi trovano, nella maggior parte dei commentatori, radice proprio nel voler affidare, o lasciare che venissero affidati, la gestione della Chiesa a figure espressione di parti e non naturalmente di un tutto; soggetti che, nonostante la buona fede, l’impegno e la volontà di lavorare “per il bene della Chiesa”, sono portatori naturalmente in re di una parte; parte che, nei casi meno edificanti, ha pure incentivato comportamenti dannosi in primis per la Chiesa.

Con questa consapevolezza, dunque, dovrebbe essere affrontato il cambiamento che pure questo, come ogni nuovo pontificato, incorpora. D’altronde, se il bisogno di unità e di fratellanza che questo pontificato sembra, fin dal primo discorso, voler rinnovare, non vi è altra strada che quella di superare la logica “associativa” intra ecclesiam. Solo così il primo papa americano, il primo papa gesuita, il primo Francesco avrà offerto alla Chiesa quel servizio che la Storia sembra averlo chiamato a svolgere.