Sempre alla ricerca dell'uomo forte. La settimana scorsa il presidente Obama, incontrando Giorgio Napolitano, aveva espresso fiducia sul futuro dell’Italia in vista delle elezioni politiche. Una fiducia mossa dalla convinzione che i cittadini del Belpaese avessero ben chiara in mente la rilevanza dell’appuntamento elettorale non solo per l’Italia, ma per l’Europa intera. Non a caso il “Wall Street Journal” l’aveva definito “l’evento politico dell’anno più importante nell’eurozona”.

I risultati delle elezioni italiane, infatti, sono stati discussi e commentanti negli Stati Uniti innanzitutto come un rifiuto della politica del rigore caldeggiata dall’Unione Europea e attuata, nell’ultimo anno, dal governo tecnico di Mario Monti. La ricetta europea di riduzione del deficit pubblico ha contribuito all’innalzamento del carico fiscale per i contribuenti senza produrre, però, effetti positivi sulla crescita. Lo stesso presidente Obama, nell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione, aveva lanciato un segnale forte, affermando che “la sola riduzione del deficit non costituisce di per sé un piano economico”. Un segnale che probabilmente si aspettava anche l’elettorato italiano, il cui rifiuto per il dogma dell’austerità si è tradotto nello strabiliante successo sia di Silvio Berlusconi, sia del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo. Un successo che, come ha fatto notare Paul Krugman, “è terrificante per gli osservatori stranieri”, poiché “destabilizza non solo l’Italia ma l’Europa intera”. Il rifiuto di una politica compiutamente europea porta con sé lo spettro di un redivivo sentimento nazionalista, con possibili ricadute negative sia sulla stabilità dell’euro, sia sul ruolo di primo piano dell’Italia all’interno dell’Unione Europea. A tal proposito il “Washington Post” si è interrogato proprio sulla reazione di Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea (Bce), impegnato nella stabilizzazione del mercato dei titoli di stato italiani in cambio della riduzione del debito. Riuscirà l’Italia ad esprimere un governo capace di mantenere gli impegni presi? L’instabilità che si prospetta per l’Italia del prossimo futuro non giova neppure alla vita politica degli altri Paesi europei, secondo i commentatori statunitensi. In Spagna e in Francia, Paesi impegnati nell’attuazione di altrettante misure di austerità, si teme un effetto domino. E la Germania, di contro, potrebbe assumere un ruolo sempre più rilevante nel consesso europeo. Salvo però considerare che la stessa Angela Merkel dovrà affrontare la sfida elettorale il prossimo autunno. Una sfida, questa, che potrebbe scoraggiare la volontà di impegnare la Germania, ma soprattutto i suoi contribuenti, verso la salvaguardia – o salvezza? – dell’euro.

Accanto alle preoccupazioni di stampo prettamente economico, appaiono quelle sociali e culturali. Se il britannico “The Economist” aveva definito il voto “un test sulla maturità e il realismo dell’elettorato italiano”, appare difficile trovare sulla stampa statunitense una nota positiva in tal senso. Agli occhi dei commentatori d’oltreoceano, più della metà degli elettori italiani mancano di un serio contatto con la realtà. Da un lato lo stivale, dominato da sentimenti di forte ripudio per la politica e i politici di professione, ha accordato un buon 25% dei propri consensi ai ‘grillini’, dimostrando di vivere “una fase per cui a un partito basta essere diverso per essere votato. Potrebbe essere il partito di Pippi Calzelunghe. Non farebbe alcuna differenza”. Dal’altro lato, circa il 30% degli italiani sembra essere afflitto dalla sindrome di Stoccolma. E di qui proviene il tentativo di spiegare al pubblico statunitense “Why Italians vote for Berlusconi” come titolava un editoriale del “New York Times”, all’indomani dei risultati definitivi. Negli ultimi anni, i fatti e i misfatti che hanno coinvolto Silvio Berlusconi sono stati raccontati negli Stati Uniti come una lunga favola amara. L’ultimo scandalo, il Rubygate, e le dimissioni forzate dalla presidenza del Consiglio avevano convinto il pubblico statunitense che gli italiani ne avessero avuto abbastanza. Di qui, la difficoltà di comprendere come l’“imperatore”, il “miliardario”, il “playboy”, il “perpetuo imputato” sia stato capace di riguadagnare i consensi di una parte molto consistente del Paese.

L’instabilità del prossimo governo italiano non potrà non avere effetti sulla strategia europea contro la crisi economica. È questo l’elemento che spaventa i mercati e, con buona probabilità, anche gli Stati Uniti. Dal punto di vista culturale, l’immagine che l’Italia ha dipinto di se stessa è quella di un Paese incapace di esprimere, e soprattutto di imprimere, una chiara direzione al proprio futuro. Oltreoceano l’Italia rischia di apparire, ancora una volta, come il fratello minore, incapace di imparare dai propri errori, costantemente alla ricerca dell’“uomo forte”.