Il centrosinistra ha vinto di un soffio alla Camera e ha fallito al Senato. Un risultato per nulla glorioso. Il 29,5% dei voti alla Camera gli permettono di ottenere il 55% dei seggi, ma – benché il confronto sia difficile da fare – è ben meno del punteggio ottenuto nel 2008 insieme all’Italia dei valori. Il Partito democratico, con il 25,4% dei suffragi, è arretrato di 7,7 punti. Bersani paga il fatto di essersi limitato a gestire il vantaggio che gli accordavano i sondaggi, cercando di mantenere le distanze con il suo sfidante, Silvio Berlusconi. La cui rimonta ha fatto sì che il centrosinistra, alla fine, risulti sopra al centrodestra soltanto di poco più di 124.000 elettori.

Certo, Bersani si è comportato come la maggior parte dei recenti vincitori in altre, importanti elezioni: in Francia, François Hollande, negli Stati Uniti, Barak Obama, e in Israele, Benjamin Netanyahu. Ma si tratta di una strategia per nulla entusiasmante. Bersani si è presentato come un candidato normale, mentre la situazione in Italia, come negli altri Paesi europei, è eccezionale. Queste elezioni, infatti, sono state gravate dalla combinazione di tre forti crisi. Innanzitutto una crisi sociale provocata dalle terapie del governo Monti, che ha sì risanato le finanze pubbliche e ridato credibilità internazionale all’Italia, ma d’altra parte ha provocato una recessione che ha innescato una disoccupazione crescente, un inasprimento delle diseguaglianze – sociali, di genere, generazionali, territoriali e tra italiani e migranti – e un aumento della povertà. Quindi, una crisi politica di lungo periodo, che si è accentuata con la moltiplicazione dei fenomeni di corruzione e con il rifiuto della classe dirigente. Infine, ed è senza dubbio la grande novità di questa campagna elettorale, una crisi di fiducia verso l’Europa, dal momento che è questo il vero discrimine politico tra i candidati, con Berlusconi, Grillo, Maroni e Ingroia che l’hanno fustigata e Monti e Bersani che l’hanno difesa.

Il Pd aveva risposte per tutti gli interrogativi derivanti da queste crisi, ma si sono udite a fatica. Le sue proposte sociali, come le sue timide idee in materia di riforme, non hanno davvero caratterizzato la campagna, tanto più che il Pd per oltre un anno ha sostenuto il governo Monti, che si è poi messo a criticare. In tal modo, ha permesso a Beppe Grillo di creargli non poche difficoltà, erodendo una parte del suo elettorato.

Il partito di Bersani è ora con le spalle al muro. Come, del resto, tutta la sinistra europea. Può certamente guadagnare qualcosa rispetto alla destra, ma soprattutto deve confrontarsi con movimenti protestatari e populisti che le nuocciono tanto più approva politiche di austerità che hanno un elevato costo sociale e politico e tanto più si dimostra incapace di proporre un progetto riformista convincente e motivante.