La grande Albania e gli altri. Nel dedicare la giornata di celebrazioni per il centenario della proclamazione d'indipendenza dell'Albania agli albanesi “di tutti i territori albanesi, da Preveza a Preševo, da Skopje a Podgorica”, il primo ministro albanese Sali Berisha ha sollevato un nugolo di allarmate reazioni da parte degli Stati confinanti. Nonostante la rettifica dell'ufficio stampa di Berisha, che negava ogni forma di rivendicazione territoriale, l'allusione alle città mancanti della “grande Albania” ha rimesso in luce alcuni nodi polemici all'origine di periodiche tensioni nella regione. Il tentativo di Berisha di adottare toni nazionalisti più accesi e di accreditarsi come alfiere dell'albanesità, ha certamente a che fare più con l'evoluzione interna della geografia politica albanese, piuttosto che con l'effettiva definizione di un nuovo orientamento di politica estera. Del resto analoghe e talvolta più radicali fiammate di patriottismo e nazionalismo riemergono dall'incerto scenario politico di Paesi vicini come la Grecia. A dimostrazione di ciò il 2012, anno di celebrazioni per l'Albania, è stato segnato da tensioni nelle relazioni di vicinato, in cui le annose questioni di confine hanno riguadagnato favore.

Il confine meridionale dell'Albania è stato definito da una Commissione internazionale il 17 dicembre 1913. L'insoddisfazione che da allora ha accompagnato le aspirazioni albanesi e greche sulle rispettive estensioni territoriali, ha successivamente condizionato le relazioni tra i due Paesi. Ma sono sopratutto le questioni relative alle “minoranze” generate dalla delimitazione del confine ad assumere contorni talvolta particolarmente accesi. Da una parte, la presenza di una minoranza greca, riconosciuta dallo Stato albanese, nel sud del Paese, la cui effettiva entità rappresenta uno dei motivi della disputa. La Grecia reclama infatti maggiori tutele e l'estensione del riconoscimento di minoritar ad aree che ne sono attualmente prive. Dall'altra, l'uccisione ed espulsione da parte greca, durante la seconda guerra mondiale, dei çam, popolazione albanofona e in larga parte musulmana che abitava la Grecia nord-occidentale, con l'accusa di collaborazionismo con le forze occupanti nazi-fasciste. L'Albania, tramite associazioni e, da qualche anno, un partito çam rappresentato in parlamento (Pdiu), insiste nel richiedere il risarcimento delle proprietà confiscate e il diritto al ritorno dei çam. La Grecia, tuttavia, si rifiuta anche soltanto di discutere la questione, ritenendola una faccenda chiusa oramai sessant'anni fa.

Rimaste latenti per oltre quarant'anni, negli ultimi vent'anni entrambe le questioni sono riemerse come dirimenti nel regolare il rapporto tra i due Paesi, diventato particolarmente stretto anche per via dei flussi migratori che hanno fatto degli albanesi la popolazione straniera più numerosa in Grecia.

Alcuni recenti episodi possono dare la misura del portato politico e simbolico di manifestazioni e discorsi ad alto contenuto nazionalistico, assunti come canali privilegiati di costruzione del consenso. Il 28 ottobre la Grecia celebra il cosiddetto “epos del 1940”, ovvero la controffensiva greca all'aggressione italiana, che portò, per alcuni mesi, all'occupazione di buona parte dell'Albania meridionale. Soltanto negli ultimi anni la Grecia ha ottenuto il permesso di realizzare due sacrari con cui rendere omaggio ai soldati greci caduti nel 1940-'41. In particolare la realizzazione dell'ultimo sacrario, presso Këlcyrë, ha sollevato in Albania un vespaio di polemiche. A rinfocolare la questione è stata l'Alleanza Rosso Nera, un partito fondato nel 2012 da Kreshnik Spahiu, figura ormai di rilievo nello scenario politico albanese, sulla scia di un movimento che si è fatto conoscere per l'opposizione al censimento del 2011 (a proposito della rilevazione di dati sulla nazionalità), che ha inscenato una sonora protesta, la cui eco è stata notevole anche in Grecia.

La rapida diffusione di Alleanza Rosso Nera, che ha insistito sul superamento delle opposizioni politiche interne per canalizzare il consenso in direzione di una battaglia tutta “nazionale”, con grandi parole d'ordine come Albania “etnica”, si profila come una novità importante in prospettiva delle elezioni parlamentari che si terranno il giugno prossimo. Non a caso, il partito di Spahiu ha scelto di celebrare il centenario dell'indipendenza con una simbolica unificazione alla frontiera tra Albania e Kosovo e con il lancio di una campagna referendaria per l'unificazione politica.

La radicalizzazione del nazionalismo antiellenico in Albania avviene in parallelo con la sorprendente affermazione elettorale, in Grecia, del partito neonazista Alba dorata, che ha manifestato e dimostrato il suo pieno sostegno alla causa dei cosiddetti vorioipirotes, ovvero i greci d'Albania. Lo stesso giorno in cui l'Alleanza Rosso Nera manifestava contro la Grecia nei pressi del sacrario di Këlcyrë, una delegazione di Alba Dorata presenziava alle commemorazioni nell'altro sacrario, quello di Bularat, proponendosi come l'unica forza politica rimasta a sostenere la “battaglia dell'Epiro settentrionale”.

Il centenario dell'indipendenza albanese è stato dunque segnato da tensioni del passato. Tuttavia, sarebbe un errore ricercarne il baricentro esclusivamente nel mai sopito conflitto con la Grecia, quanto nella situazione interna, nelle difficoltà del suo sistema politico e negli effetti negativi che la gestione dei partiti al potere ha avuto sull'insieme della vita albanese degli ultimi anni.