L’industria italiana non se la passa bene. È stretta fra congiuntura e problemi strutturali. La prima, con la persistente caduta della domanda interna in Europa e soprattutto in Italia, sta mettendo a dura prova la sopravvivenza stessa di molte imprese. Ma al netto della crisi, da un decennio si fanno più stringenti i vincoli strutturali, che in passato si era riusciti a scavalcare con successo: imprese troppo piccole; pochi laureati nelle aziende; scarsa ricerca e sviluppo. Molte ce la stanno facendo bene lo stesso, ma il loro totale è troppo piccolo. Rischiamo seriamente una forte contrazione della nostra base industriale. Una pessima notizia: senza una forte base industriale, anche il miglior terziario è più debole. Il Paese nel suo insieme va avanti troppo poco. Che cosa si può fare? Per cominciare, tornare a discutere seriamente di politica industriale; cioè di quello che le politiche pubbliche possono (e non possono) fare per favorire processi di rafforzamento e di trasformazione della nostra industria. Una discussione non banale, tra fallimenti del passato e vincoli finanziari del presente.

Una discussione che non c’è, né in sede politica né in sede scientifica. Largo spazio hanno le posizioni estreme di quanti continuano ideologicamente a pensare che la cosa migliore è non far nulla; che il mercato (come si è visto benissimo con la recente crisi…) risolve tutto per il meglio da solo. Molto si discute di favole. Ne circola una secondo la quale le imprese italiane sarebbero inondate di risorse pubbliche, senza buoni motivi; esisterebbe un ennesimo tesoretto da destinare alla riduzione fiscale. Il noto Rapporto Giavazzi – proprio su questi temi – non aiuta però per nulla a capire: né la dimensione degli interventi, né la loro utilità. Un esperto di politiche industriali, Raffaele Brancati, ne smonta senza troppe difficoltà gli assunti. In comparazione europea – giusto o sbagliato che sia – i nostri incentivi alle imprese sono fra i più bassi, e in fortissima riduzione, specie nel Mezzogiorno. Ma Brancati scrive sul suo sito, Giavazzi sulla prima pagina del “Corriere”: lo scontro ha l’esito segnato. Troppo spesso, nell’Italia di oggi, vince non chi ha argomenti migliori, ma chi ha un megafono più forte.

Sarebbe bello discuterne seriamente. Gli incentivi alle imprese hanno mille difetti; possono avere qualche utilità, a patto che si sappia quali obiettivi si vogliono raggiungere e che si controlli bene quali risultati producono. Ma una politica industriale non è fatta solo di incentivi monetari: è fatta di una complessiva politica della ricerca e dell’innovazione; da strategie per rafforzare l’internazionalizzazione delle imprese; da strumenti per facilitare l’assunzione di personale qualificato. Molto dalle regole, ad esempio ambientali. E molto dalla domanda pubblica (come negli Stati Uniti): che cosa e come il settore pubblico compra. Temi complessi, da Paese serio; che difficilmente si sintetizzano in uno slogan.

Padroni di continuare a non farlo: resteremo un Paese che investe tanto per potenziare la produzione di energia solare, ma poi non produce nemmeno un pannello e li deve importare tutti.