Il Trattato di Lisbona fu un compromesso fra Angela Merkel e Tony Blair: alla cancelliera interessava mantenere le innovazioni costituzionali e al premier britannico premeva dire alla sua opinione pubblica che Sua maestà non avrebbe dovuto accettare una Costituzione importata dal continente. Sulla strada di Lisbona l’impianto già traballante del testo costituzionale fu indebolito dai diplomatici, in particolare nei due “pilastri” della sicurezza interna ed esterna. Come sappiamo, il Trattato è stato firmato nel dicembre 2007, quattro mesi dopo lo scoppio della crisi dei mutui immobiliari negli Usa, ed è entrato in vigore nel dicembre 2009, quando la crisi aveva già travolto le economie di tutti i Paesi industrializzati. In occasione delle riforme precedenti (Atto unico, Trattati di Maastricht, di Amsterdam e infine di Nizza), i leader europei di allora avevano riaperto rapidamente il cantiere dell’Unione per adattare la casa europea ad avvenimenti imprevisti (penso soprattutto alla caduta del Muro di Berlino e all’allargamento dell’Unione).

Stavolta i più modesti leader che ci governano hanno inutilmente tentato di arginare la crisi usando le dighe di cartapesta del Trattato di Lisbona. Alla modestia dei leader europei si è aggiunta, malauguratamente, la timidezza del Parlamento europeo e della Commissione, lasciando l’Unione in balia di apprendisti stregoni che hanno accumulato in due anni un coacervo di provvedimenti inadeguati e contraddittori (Europlus, Six pack, Fiscal compact, Two pack), con il risultato di aggravare la crisi e approfondire il solco fra opinioni pubbliche e istituzioni europee. “Dobbiamo organizzare un vertice per contrastare i populismi” ha proposto a Cernobbio Mario  Monti (summiting, dicono sarcasticamente i tabloid britannici) e, se la proposta sarà accolta, si riuniranno tutti nella Sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio. Speriamo che il risultato del vertice contro i populismi sia concludente, ma c’è già chi (Monica Frassoni su “l'Unità” dell’11.8.2012) ha espresso forti dubbi sulle sue capacità taumaturgiche.

Da par suo, il presidente Napolitano ha colto l’occasione di Cernobbio per dirci che la soluzione duratura dei mali dell’Europa, e dunque anche la sconfitta dei populismi, verrà solo dalla trasformazione dell’Unione in una Federazione, al centro della quale occorre collocare quella che Habermas ha chiamato “una democrazia sopranazionale”. La voce di Napolitano non è rimasta isolata: da Strasburgo, il presidente della Commissione europea Barroso ha rilanciato l’ossimoro di Delors della federazione degli Stati-nazione, forse dimenticando che il Trattato di Lisbona ha messo su un piano di uguaglianza Stati e cittadini; il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, in un suo issue paper, ha snocciolato una decina di domande rivolte soprattutto ai governi (che a fine giugno si erano affrettati a dire: “i proprietari dei trattati siamo noi!”).

Riapre dunque il cantiere dell’Unione diciotto mesi prima delle elezioni europee del giugno 2014. Ci ripromettiamo di tornare presto sull’argomento, snocciolando anche noi tre domande con risposta multipla: chi lavorerà nel cantiere, per quale progetto architettonico e quali saranno i tempi di consegna. Cominciamo dalla prima: il Trattato prevede che debba essere convocata dal Consiglio europeo una Convenzione, nella quale si confrontino parlamenti nazionali, Parlamento europeo, Commissione e governi nazionali. Ciò escluderebbe gruppi di saggi o negoziati diplomatici. I rumors di Bruxelles dicono che gli sherpa dei governi minacciano di occupare le sale del Justus Lipsius, mentre le organizzazioni federaliste riunite nel Movimento europeo propongono un’assemblea eletta direttamente dai cittadini, seguita da un referendum paneuropeo. Il progetto architettonico potrebbe essere limitato a una genuine economic union, come vorrebbe Van Rompuy, con il rischio di avere una nuova e più ampia versione del fiscal compact, o estendersi a una revisione delle competenze dell’Unione, come vorrebbe Angela Merkel, accompagnandola a un rafforzamento della democrazia europea, o prevedere un’ampia ristrutturazione della casa europea per realizzare gli Stati Uniti d’Europa, probabilmente con un numero di inquilini inferiore a quello che oggi alloggia nell’Unione. Infine, i tempi della consegna. Molti dicono che la Convenzione non potrà essere convocata prima delle elezioni europee e che l’orizzonte temporale è dunque fissato al 2016, il Movimento europeo - ma forse anche Angela Merkel, che guarda alle elezioni federali nell’autunno 2013 - pensa a un’Assemblea costituente nel 2013, con un referendum paneuropeo nel 2014.

Un compromesso potrebbe essere trovato con una Convenzione che lavori in due tempi: un documento di natura politica preparato per fornire materia di dibattito alla campagna elettorale europea e la Costituzione europea (che qualcuno preferisce chiamare “Patto di cittadinanza”) elaborata tenendo conto del risultato delle elezioni europee, affinché essa entri in vigore entro la fine del 2015.