La precarietà degli equilibristi. La guerra civile che da un anno e mezzo dilania la Siria non è destinata a risolversi in breve tempo. Molti fattori sono entrati in gioco, sommandosi, sovrapponendosi e alimentandosi vicendevolmente, sia sul piano interno sia su quello internazionale. Gli scontri interni rimandano al contesto regionale e viceversa. Di certo la dinastia degli Assad, esponenti della minoranza alawita, di osservanza sciita, in un Paese dove la maggioranza della popolazione è invece di origine sunnita, prima o poi dovrà mollare la presa. E' però possibile ipotizzare quando solo ragionando in merito al sostegno che la Russia e l’Iran continuano ancora a offrirle: nel momento in cui ciò dovesse cessare, allora il clan si troverebbe privo di risorse e, quindi, mortalmente isolato.

Al momento, tuttavia, sia Putin sia Ahmadinejad non paiono intenzionati ad abbandonare al suo destino quella che è una  pedina importante del sistema geopolitico mediorientale. Se fosse altrimenti, infatti, i rapporti di forza tra sunniti e sciiti nell’area conoscerebbero un clamoroso ribaltamento. L’asse silenzioso che intercorre tra Iran, Libano e Siria verrebbe immediatamente spezzato. Teheran si troverebbe, in tale modo, isolata, ovvero impedita nella sue relazioni d’interessi con il movimento Hezbollah, che le permettono di controllare parte del Sud del Libano e, con Hamas, della Striscia di Gaza. Una tale situazione renderebbe quindi impossibile il continuare a esercitare una costante tensione contro Israele. Non di meno, quello che è un attore fondamentale dell’area, quell’Arabia Saudita di ceppo wahabita che sta cercando in tutti i modi, e parrebbe con successo, di capitalizzare gli effetti di ciò che resta della cosiddetta «Primavera araba», avrebbe con tutta probabilità partita vinta. Poiché alla caduta degli Assad e al prevedibile regolamento di conti con la minoranza alawita, fino a oggi beneficiaria delle scelte operate dal gruppo al potere, ma destinata a essere schiacciata quando lo scenario dovesse mutare, seguirebbe l’affermarsi dell’egemonia di una qualche Fratellanza Musulmana, in versione senz’altro più radicale di quella conosciuta in Egitto e nel Maghreb.

Non è un caso, quindi, se nel composito universo di gruppi impegnati contro le forze armate fedeli agli Assad vi siano elementi che poco o nulla hanno a che fare con il Paese, essendosi inseriti nelle tensioni in corso e avendole esacerbate ad arte per il proprio beneficio. La violenza che accompagna la lotta armata, infatti, non è solo l’indice dell’esasperazione di una parte della popolazione locale, ma anche il risultato delle infiltrazioni promosse da Riad. L’Iran, legato alla Siria da un patto di sostegno militare e di scambio di intelligence che è risultato fino a oggi particolarmente fruttifero per il clan alawita, vede con crescente angoscia la possibile defenestrazione di Bashar Assad. Avrebbe da perdere non solo i profittevoli legami con le organizzazioni dell’estremismo sciita presenti da decenni nell’area, ma subirebbe le pressioni saudite e, non in ultimo, l’espansionismo di marca neo-ottomana della Turchia di Erdogan, altro attore vivace, sostenuto da un’economia florida e geopoliticamente proiettato nell’area mediterranea e mediorientale. Mosca, Riad e Istanbul guardano poi con attenzione alle convulsioni finanziarie e alla recessione economica in corso nell’Unione europea.

Sebbene non a breve, la perdita di potenza, e quindi di ruolo politico, del Vecchio Continente aprirà nuovi, inesplorati orizzonti. C’è un asse importante, quello che lega il Mediterraneo al Mar Nero. Nel primo i giacimenti di gas naturale, presenti soprattutto nell’area meridionale, tra Cipro e Israele, sono una ghiotta polpetta. Nel secondo, se salta l’attuale equilibrio strategico, il ruolo della Russia in quell’area sarebbe destinato a essere ridimensionato. In Iran, Paese isolato sulla partita del nucleare, la dipartita politica degli Assad indebolirebbe enormemente il gruppo di potere legato ad Ahmadinejad. Il leader populista ha giocato finora le sue carte puntando sulla «coalizione antimperialista», matrimonio d’interessi in salsa antiamericana. Così facendo ha tenuto a bada gli ayatollah, che lo guardano in cagnesco. Dopo di che, se salta l’oftalmologo di Damasco, anche per l’uomo di Teheran i tempi si farebbero per davvero molto duri.