La guerra del gas. Non è un anno tranquillo per i Paesi euro-mediterranei, non solo per via dello spettro dell’uscita greca dall’Eurozona o del contagio dei Paesi Pigs. Anche altri delicatissimi intrecci di geopolitica scuotono il mare nostrum, e proprio alla vigilia della presidenza di turno dell’Ue della Repubblica di Cipro, già oggetto di minacce reiterate da parte della Turchia. L’isola, come è noto, dal 1974 è “presidiata” abusivamente nella parte settentrionale da quarantamila militari turchi (in risposta a un tentativo di colpo di Stato greco), che hanno occupato la cosiddetta Katekomena autoproclamandosi Repubblica turco cipriota del Nord, riconosciuta solo da Ankara e non da Onu né dall’Ue. Di contro, a Sud, la Repubblica di Cipro è membro dell’Unione europea e da anni tenta di vedere riconosciuti i propri diritti, poiché nel luglio del 1974 venne bombardata da caccia militari (inglesi e turchi) e i cittadini furono costretti a fuggire dalle proprie abitazioni per non farvi mai più ritorno. Negli ultimi anni, complice una volontà comune anche figlia di rapporti personali tra i due presidenti (Talat e Christofias), qualcosa si è mosso. Come il “pertugio di pace” nel muro che divide in due la capitale Nicosia, ancora ferita da quel filo spinato che, oltre che materiale, è diventato nel tempo una sorta di corona di spine per le due comunità che fino a un attimo prima dell’azione militare convivevano pacificamente. Un po' come avvenne per la tragedia della Mikrì Asia a Smirne, quando, nel 1922, i greci, che lì vivevano in pace con la comunità turca, vennero cacciati e rispediti in patria con la forza da parte dei militari di Ankara. In un trionfo di tragiche storie, personali e sociali, che si sono mescolate agli egoismi politici e alle strategie imperialistiche.

Ma il nodo, adesso, è anche un altro: il gas. Il prezioso materiale, presente nelle acque cipriote, come nel resto dell’Egeo, è stato oggetto di un accordo tra Nicosia e Tel Aviv per uno sfruttamento comune, e ha provocato la solita reazione scomposta di Ankara. Infatti, il ministero degli Esteri turco ha chiesto ai consorzi partecipanti alla gara d'appalto per l'esplorazione petrolifera sui fondali ciprioti di astenersi: pena l’esclusione da futuri progetti energetici in Turchia. «Invitiamo i Paesi e le compagnie petrolifere interessati a comportarsi con buon senso - si legge in una nota del ministero - rinunciando a ogni attività in questa zona di mare all'origine delle divergenze legate alla questione cipriota, ritirandosi dalla gara d'appalto in questione. Non saranno incluse le compagnie che avranno collaborato, con l'amministrazione cipriota greca, ai progetti energetici previsti per il futuro in Turchia».

Secondo quanto riferito dalla “Famagusta Gazete” (che ha ripreso l’agenzia turca “Anadolu”), Israele potrebbe dispiegare ventimila commandos nella parte meridionale dell'isola di Cipro proprio per proteggere gli interessi energetici dello Stato ebraico nella regione. Lo scorso febbraio, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente cipriota Dimitris Christofias avevano raggiunto un accordo di joint ventures nel settore energetico relativo ai giacimenti off-shore di gas naturale nelle rispettive zone economiche esclusive. Secondo indiscrezioni, il premier dello Stato ebraico avrebbe offerto a Christofias di farsi carico delle spese per realizzare l’impianto per la liquefazione del gas, con in cambio la manodopera israeliana (circa diecimila dipendenti).

Proprio il premier cipriota, però, sta vivendo una fase politica controversa, che potrebbe portarlo all’uscita di scena. Lo ha annunciato in un discorso alla televisione di Stato: non intende ricandidarsi a febbraio del 2013 per un secondo mandato a causa dell'impasse dei colloqui sotto l'egida dell'Onu per la riunificazione dell'isola. «Un'analisi realistica dei fatti - ha spiegato - porta alla conclusione che non vi sono speranze di risolvere la questione di Cipro né di raggiungere sostanziali progressi nei mesi che restano del mio incarico». Ha inoltre evidenziato come la sua scelta sia direttamente proporzionale a quanto promesso all'indomani dell'elezione a capo dello Stato secondo cui non si sarebbe ripresentato per un secondo mandato qualora con la parte turco-cipriota non si fossero registrati progressi sostanziali.

L’impressione, al momento, è che spread e default potrebbero rappresentare solo la punta di un ben più consistente iceberg che si sta muovendo, minaccioso e imponente, nel Mediterraneo orientale. Con la costante rappresentata dalle istituzioni europee non propriamente attente alla questione, come dimostra l’impasse in tal senso proprio della commissaria Ashton, nota più per le memorabili gaffes (definì i marò italiani “guardie private”) che per strategie di ampio respiro.