Negli anni Settanta venne di moda parlare del “caso italiano” come di una anomalia delle democrazie occidentali. Le interpretazioni spaziavano da una visione complessiva che etichettava il nostro Paese come il “grande malato d’Occidente” per via delle sue storiche deficienze economiche (il dualismo Nord-Sud in particolare) e della sua instabilità governativa, nonché per una peculiare cultura politica familistica e particolaristica, ad accezioni più circoscritte che puntavano su aspetti particolari come il predominio incontrastato di un partito inefficiente com’era la Dc, per la diffusione della corruzione, politica ma non solo, per il tasso di violenza politica e l’estensione della criminalità organizzata e, last but not least, per la presenza del più grande partito comunista del mondo libero.

Tutte queste connotazioni hanno attirato frotte di commentatori, analisti e studiosi stranieri, e grazie a loro ne sappiamo molto più di prima.
Archiviate molte anomalie con gli anni Ottanta, ivi compresa la scomparsa del Pci, il cataclisma del 1994 ne ha reintrodotte di nuove, molte delle quali ruotano intorno alla figura di Silvio Berlusconi. Il conflitto di interessi, la caratura populista, lo stile politico “eccentrico” con una commistione di pubblico e privato sconosciuta alle democrazie occidentali, uniti alla sua longevità politica, hanno di nuovo inclinato la percezione esterna del nostro Paese verso l’eccezionale. Ma questa volta non c’è lo stesso clima curioso e attento, teso a comprendere come possa volare il “calabrone italico”. L’approccio è completamente diverso, perché troppa è la distonia con i requisiti minimi del corretto funzionamento di un sistemo politico democratico e con gli standard di comportamento richiesti ai governanti delle democrazie mature. Il caso italiano oggi è il caso Berlusconi. Chiunque abbia frequentato istituzioni culturali estere o abbia partecipato a convegni internazionali si sente immancabilmente chiedere come sia possibile che persista quel conflitto di interessi e che sia consentito di governare a una persona gravata da tanti carichi giudiziari sulle, o alle, spalle.
Non deve quindi stupire il martellamento costante che la stampa internazionale continua a produrre sulle disinvolte e non commendevoli frequentazioni del presidente del Consiglio. Al di là delle Alpi, un premier che faccia della sua residenza privata, spesso peraltro elevata a luogo di incontri semi-ufficiali con esponenti di governo, il teatro di festini nonché sia sospettato di intrattenersi con minorenni viene squalificato dal suo ruolo. Ma ciò che è di lampante chiarezza altrove, non lo è in Italia. Non solo per la censura ferrea operata dal mono-duopolio televisivo ma per una acquiescenza di tanti commentatori e opinion leader che o non hanno il coraggio di far sentire la loro voce o sono convinti che tutto ciò sia “normale”. Ed è proprio questa diffusa percezione distorta, che rende normali le anomalie, il fattore che ci allontana dalle democrazie mature.