«Scudato» è un (brutto) termine ormai entrato nel gergo, per chi ha letto i giornali la settimana scorsa, ed è rivolto a chi beneficerà dello scudo-ter, terza edizione di un condono speciale per chi detiene illegalmente capitali all’estero e decide di rimpatriarli o regolarizzarli. Lo «scudato», in cambio di un’imposta del 5% del capitale, ha la garanzia che la propria autodenuncia resterà completamente anonima e non verrà utilizzata contro di lui/lei, né in sede amministrativa, né giudiziaria, in via autonoma o addizionale.

Stando ai primi commenti, il mercato sembra gradire e il consenso è ampio: sono soddisfatte imprese, operatori finanziari, professionisti. Sicuramente tutti i detentori di capitali illegali all’estero, sotto forma non solo di strumenti finanziari, ma anche di immobili, imbarcazioni o altri patrimoni.
La veste nobile dello scudo, messa in evidenza dai suoi sostenitori, è di misura anticrisi. Ma questa veste, che ha abbagliato anche qualche esponente del centrosinistra, è poco credibile.  
Lo «scudato», si dice, riporterà  a casa capitali, da investire nel Paese e aiuterà dunque l’uscita dalla crisi. La volta scorsa (2001-2003) non vi furono, in verità, gli annunciati effetti positivi sulla crescita. Questa volta, data la situazione, si è cercato di vincolare o incentivare di più comportamenti virtuosi, con l’obbligo del rimpatrio e con un ulteriore incentivo, se l’imprenditore investe  il proprio capitale in azienda. È il modo, si sostiene,  per far fronte alla stretta creditizia e rafforzare il patrimonio delle imprese.
L’obbligo di rimpatrio, però, è solo nei confronti dei Paesi extra-Ue, e non è neppure certo che questa limitazione sarà accettata in sede comunitaria. Ma anche se fosse, gli operatori stanno già studiando le modalità con cui rimpatriare solo virtualmente, registrando i beni presso un intermediario finanziario. Nonostante l’incentivo alla patrimonializzazione, l’imprenditore potrebbe non avere propensione o convenienza a mettere il capitale rimpatriato in azienda. Potrebbe averne persino timore, se fosse frutto, ad esempio, di sottofatturazioni, perché l’amnistia per il reato di falso in bilancio è alla fine scomparsa dal testo ufficiale del decreto. Lo scenario più ottimistico è che i patrimoni affrancati costituiranno garanzia per le banche, che saranno così più tutelate nel concedere crediti.
Lo «scudato», si sostiene, servirà comunque a portare nuovo gettito nelle casse dello Stato, il che è bene in periodo di crisi. Vi è un importo una tantum, connesso al rimpatrio o regolarizzazione e vi può essere un maggior gettito futuro, sui redditi che derivano dai capitali condonati, se lo scudo riuscirà a ridurre strutturalmente l’evasione. Vi sono alcuni segnali positivi in questa direzione: la crisi ha segnato una ripresa, da parte dei maggiori Paesi, delle azioni di contrasto verso i paradisi fiscali; il governo ha introdotto una presunzione di evasione, ponendo a carico del contribuente l’onere della prova, in caso di investimenti in Paesi a fiscalità privilegiata; si aumentano le sanzioni per chi non rimpatria o regolarizza. Non vi sono però efficaci azioni di deterrenza all’evasione. Viene eliminata, ad esempio, un’importante sanzione: la confisca dei beni di valore corrispondente al capitale esportato illegalmente. Inoltre, a differenza di altri Paesi  che hanno introdotto provvedimenti analoghi, come  Stati Uniti e Regno Unito, da noi lo scudo è completamente anonimo. Questa totale riservatezza rischia di tradurre lo scudo fiscale 2009 nell’ennesimo condono che invece di ridurre l’evasione la aumenterà, in attesa del prossimo condono (in fondo questo è già il terzo scudo!). Ancor più grave,  rischia di essere un favore al crimine organizzato e al malaffare: è il grido di allarme del sostituto procuratore nazionale antimafia Alberto Cisterna ("Il Sole - 24Ore, 18 luglio) che getta un’ombra decisamente tetra su uno dei possibili aspetti dello «scudato» fiscale. Un aspetto non certo secondario.