Nel primo numero del 2006, questa rivista dedicò una intera sezione monografica a un tema cruciale. La intitolammo "Ideologia e prassi delle grandi opere".

Risulta davvero sorprendente rileggere quegli articoli a sei anni di distanza: non solo per la bravura degli autori, che seppero individuare le questioni cruciali mentre era in atto un dibattito molto acceso sulla Tav in val di Susa, ma anche per l'assoluta immobilità italiana che l'attualità di quegli articoli riletti oggi mette in chiara evidenza.

Ne riproduciamo qui di seguito, senza alcuna modifica, la paginetta introduttiva.

Dal Mulino n. 1/2006, p. 92:

Le sempre più ricorrenti situazioni di grave disagio che gli utenti della rete dei trasporti italiani si trovano ad affrontare sono ben più di un campanello d’allarme. Per non parlare degli incidenti e delle questioni legate alla sicurezza. La nostra rivista aveva programmato una sezione monografica legata al tema delle infrastrutture e della rete italiana dei trasporti ben prima che esplodesse il caso dell’Alta Velocità in val di Susa. Nel momento in cui questo numero va in stampa, spenti i riflettori sulla val di Susa, il Paese si trova bloccato da un sistema ferroviario totalmente inadeguato, sempre più incapace di reggere la prova di un inverno rigido. Non diversa la situazione della rete autostradale, mentre la compagnia aerea di bandiera si dibatte in una crisi che appare di difficile soluzione.

Ci è parso dunque indispensabile dedicare buona parte del numero con cui si apre il 2006 all’analisi dell’impasse trasportistica italiana. Ma abbiamo voluto anche che nei quattro articoli che seguono venissero formulate alcune possibili linee di intervento per uscire da questo stallo. Tenendo sempre presenti sia il contesto europeo in cui l’Italia deve progettare e costruire, sia il divario divenuto ormai assai ampio tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere.

Poiché parlare di modernizzazione del Paese in una simile situazione infrastrutturale appare anzitutto come un mero esercizio retorico, converrà porre mano urgentemente alla questione. Superati gli schematismi dovuti alle nette contrapposizioni di stampo ideologico e cercate le procedure di coinvolgimento delle popolazioni via via interessate alle «grandi opere ». Attuando dunque una fase partecipativa che anche nel caso della val di Susa avrebbe dovuto coinvolgere direttamente la cittadinanza, attenuando e rendendo forse gestibile il conflitto sociale che invece è prepotentemente esploso.