Il governo Monti ha trattato i cittadini italiani da persone adulte capaci di affrontare la realtà, per quanto dura, e ha imposto loro misure severe, che tuttavia non hanno portato (come il premier stesso ha, con stupore, sottolineato) a un crollo verticale di popolarità, giacché la gravità della crisi è sotto gli occhi di tutti da quando si sono diradate le nebbie mediatiche delle comunicazioni politiche faziose. Questa semplice considerazione, banale in qualsiasi democrazia evoluta, non lo è per gli italiani che, per consolidato stereotipo, sembrano quasi sempre dover essere messi “sotto tutela” di qualcuno che sta più in alto, trattati come soggetti incapaci di pensare e di agire con la propria testa, incapaci di assumersi responsabilità individuali e incapaci di compiere scelte coraggiose quando la situazione lo impone. La conseguenza è quella di subire provvedimenti che sono pannicelli caldi che non incidono nella realtà, anzi, la lasciano marcire e consolidare nel degrado, ma soddisfano, nell’immediato e senza impegno, qualche lobby e categoria particolare, rimandando la soluzione del problema che, puntuale, si ripresenterà. La veduta corta del calcolo elettorale immediato viene preferita al futuro bene comune. 
Non è dunque un caso se gli italiani, diversamente da altre popolazioni di Paesi europei comparabili, hanno espresso ed esprimono, sino ad oggi, profondo distacco e sfiducia rispetto alle principali istituzioni politiche. Dentro la sfiducia ci stanno molte cose: c’è la disaffezione emotiva e c’è il giudizio critico sulla loro inefficienza e scarso rendimento. A conferma dell’influenza che il funzionamento del quadro istituzionale può avere sul sentimento di fiducia, vediamo che la già scarsa fiducia ha subìto un ulteriore declino alla fine dell’anno scorso. Tutte le istituzioni risultano sotto il 50%, anche la Chiesa. Ma il vero crollo ha riguardato i partiti (oggi la fiducia è al 3,9%) e il Parlamento (all’8,9%), i più colpiti dalla crisi attuale (v. Rapporto Demos 2011). Invece il presidente della Repubblica, l’attuale presidente del Consiglio e le forze dell’ordine raccolgono una percentuale maggioritaria di fiducia. Essi simbolizzano la coesione e l’unità del Paese in un momento molto difficile e incarnano, questi ultimi due, una novità: costituiscono un esempio di persone che – al di là del giudizio di merito sulle politiche adottate – parlano chiaramente e agiscono di conseguenza. A un’informazione quasi didascalica cui seguono fatti non eravamo più abituati. E ciò necessariamente mette in cattiva luce un sistema partitico sempre più arroccato sui propri privilegi, che “sta alla finestra” a guardare chi fatica per lui.
Lo stesso paradigma comportamentale (stima e fiducia per le persone che parlano chiaramente e agiscono di conseguenza) si verifica non solo nella quotidianità delle scelte politiche e amministrative, ma anche in  eventi e tragedie che colpiscono nel vivo ognuno di noi per la grandezza del disastro, le vite distrutte e la banalità colpevole delle cause. Mi riferisco alla nave della Costa crociere, finita su uno scoglio a pochi metri dall’Isola del Giglio. Rispetto a questa tragedia i media hanno già detto quasi tutto, soffermandosi perfino sui dettagli della personalità del “Capitan codardo” (come è stato apostrofato), divulgando la telefonata di quest’ultimo con il “Capitan coraggio” della Capitaneria, che gli intimava di comportarsi secondo i suoi doveri e le sue responsabilità. L’ammirazione della gente comune, moltiplicata e diffusa via internet, per l’orientamento determinato e responsabile di chi, peraltro, è preposto a un preciso compito ufficiale, è il segno che la sociètà italiana è tutt’altro che amorfa e rassegnata. È dalle migliaia di persone che hanno scritto su facebook o twitter il loro giudizio che emerge qualcosa di importante e meno superficiale della contrapposizione tra l’eroe buono e il cattivo “italiota”. Emerge un variegato (nei toni e modi) richiamo alla normalità del compiere il proprio dovere, di chi giorno dopo giorno conduce con professionalità il proprio lavoro, si prodiga per gli altri senza secondi fini, come hanno fatto gli abitanti del Giglio e, tantissime volte, anche recentemente in occasione della varie alluvioni annunciate, gli abitanti delle diverse regioni d’Italia.
Bertolt Brecht diceva “felice il Paese che non ha bisogno di eroi”. Quando il senso civico, la professionalità, il coraggio nel compiere scelte giuste vengono assunti nel cielo dell’eroismo, c’è qualcosa che non funziona e desta preoccupazione. Se l’ufficiale della capitaneria, che – come lui stesso ha detto – non ha fatto altro che compiere il proprio dovere, diventa un “Eroe” è un’anomalia. La spiegazione sta nel fatto che i “Capitan codardo” che affollano enti pubblici e privati non sono casi singoli, ma sono frutto di una complicità strutturale che non solo li tollera ma, in alcune circostanze, sembra addirittura giustificarne il modo di agire. Vi è, infatti, un dato certamente allarmante: un sistema di regole che esiste e che dovrebbe garantire la correttezza di comportamento, sistematicamente trasgredito dai vari “Capitan codardo” con la colpevole complicità di chi, ognuno con il proprio ruolo nella catena di comando, deve controllare l’applicazione di quelle regole, e non lo fa per interesse o mancanza di coraggio. È questa la faccia, e il problema, peggiore dell’Italia. La parte migliore, che getta un seme di speranza per il futuro, è, invece, quella dei segnali di stima verso chi si assume responsabilità e scelte gravose, e questa parte riuscirà a modificare un sistema che premia i peggiori se ogni onesto cittadino si sentirà in diritto di richiamare ai suo doveri un qualsiasi “Capitan codardo”, intimandogli di “tornare a bordo”.