«La Rete e il bavaglio». Da Pechino è partita la nuova stretta sui blog: a tutti gli utenti di social network e microblog è stato imposto di aggiornare i dati personali necessari per la registrazione entro tre mesi. L’obiettivo del governo è quello di impedire a chi utilizza queste «pericolose» piattaforme per lo scambio di informazioni e opinioni di continuare a farlo nell’anonimato, vale a dire registrandosi con un nome inventato. Chi non si atterrà alle nuove disposizioni verrà immediatamente bandito dal sistema. In questo modo per la polizia dovrebbe diventare più semplice procedere all’identificazione immediata di chi pubblica contenuti «pericolosi, sovversivi o offensivi nei riguardi del Partito», ma anche di chi usa la Rete per «incitare o organizzare assemblee, manifestazioni e raduni illegali».

Il bersaglio principale dell’ennesima stretta sui blog è certamente Weibo.com, la versione cinese di Twitter, che nella Repubblica popolare, come Facebook, è censurato. Mentre la causa di questa ennesima e improvvisa stretta è il peggioramento della situazione nel villaggio di Wukan, dove gli abitanti si sono uniti in una protesta collettiva contro le autorità locali, accusate sia di aver rubato loro la terra per venderla a impresari edili senza scrupoli per intascarsi, in cambio, corpose tangenti, sia di aver ucciso il loro mediatore, il macellaio del paese, Xue Jinbo, deceduto ufficialmente per «arresto cardiaco», anche se la comunità è convinta che la causa della morte siano i maltrattamenti subiti (ad accreditare questa tesi il fatto che le forze dell’ordine si sono rifiutate di restituire il corpo ai familiari).   

Dal momento che a Wukan la situazione sta progressivamente degenerando e Pechino ha tentato, per cercare di evitare che il resto del Paese fosse informato sulle evoluzioni di questo movimento di protesta, di cancellare dalla Rete ogni informazione al riguardo, la stretta improvvisa sulle regole di registrazione dei microblog è stata pensata anche per evitare che la protesta dei pescatori del Guangdong possa trasformarsi in un «cattivo esempio» per tante altre piccole comunità, permettendo alla polizia di identificare all’istante gli internauti colpevoli di aver diffuso la notizia. La piattaforma di Weibo è stata sfruttata in più di un’occasione per lanciare commenti negativi contro il governo, per denunciare incidenti ed episodi di corruzione trascurati dalle autorità e anche per organizzare manifestazioni di protesta in campagna e in città.

Pur avendo agito con grande rapidità, Pechino non è riuscita a impedire che le informazioni su Wukan circolassero nel Paese. Un po’ perché Weibo non è l’unica piattaforma che i cinesi utilizzano per tenersi aggiornati sugli eventi più scottanti, un po’ perché il termine entro cui i suoi oltre 200 milioni di utenti dovranno registrarsi con il loro nome e cognome reale è marzo. Ma è evidente che quando diventerà necessario aggiornare i propri profili con il numero di passaporto e i riferimenti della carta d’identità, Weibo perderà una buona fetta dei suoi attuali utenti. Tant’è che molti hanno già cominciato ad appoggiarsi a Tencent, una piattaforma equivalente che, essendo registrata nel Guangdong, può ancora permettersi di non rispettare la regola del «nome» - che, forse per la fretta di colpire soprattutto Weibo, Pechino ha reso obbligatoria solo per i siti registrati nella capitale.  

In questo modo, però, non solo tutto il Paese è stato aggiornato sulle evoluzioni della crisi di Wukan, scoprendo che i pescatori in 48 ore hanno accumulato più scorte possibili di riso e pietre per rispondere all’eventuale prolungamento dell’assedio delle forze di polizia o a un attacco armato che ritengono ormai sempre più probabile. Ma proprio grazie al passaparola su Tencent sono state organizzate a Guangzhou, il capoluogo del Guangdong, delle micro-proteste per cercare di convincere il governo regionale a intervenire per liberare Wukan. Tuttavia, per evitare che qualcun altro possa seguire il loro esempio, la polizia di Guangzhou ha arrestato i manifestanti. E c’è da aspettarsi che anche il governo del Guangdong segua presto l’esempio di Pechino e costringa gli utenti di Tencent a inserire il numero di passaporto nel profilo, per poter identificare all’istante le menti che si nascondono dietro queste «pericolose iniziative sovversive».