Benché sia costituzionalmente garantita (art. 24), la libertà di agire in giudizio per tutelare i propri diritti appare indebolita.  Nonostante la produttività media dei giudici italiani sia tra le più alte dei Paesi membri del Consiglio d’Europa, nel corso degli anni si è incessantemente accresciuto il numero delle cause civili pendenti, fino a superare i 5 milioni. Inoltre, la progressiva paralisi dell’amministrazione della giustizia scoraggia sempre più le iniziative imprenditoriali e gli investimenti stranieri e deprime la fiducia nella magistratura. Vi è poi l’elevato tasso di litigiosità degli italiani, spesso non ostacolata da avvocati interessati più alla loro parcella che a una rapida conclusione della vertenza. Ma, soprattutto, vanno considerate le farraginosità procedurali e le disfunzioni organizzative dell’apparato giudiziario che la politica legislativa, anziché rimuovere, ha finito per accentuare.

Concentrati sui provvedimenti di finanza pubblica del nuovo governo. i media hanno trascurato una proposta d’intervento che, se perseguita con determinazione, potrebbe fronteggiare con successo l’emergenza giustizia. Si tratta  dell’offerta che il Consiglio Nazionale Forense ha lanciato in un messaggio-appello a tutta pagina sul «Corriere della Sera» e su «la Repubblica» il 25 novembre scorso, sotto il titolo Liberi di difendere le libertà. In base al presupposto secondo cui i diritti da difendere in giudizio non possono essere trattati come “rottami da smaltire ma reali richieste di giustizia dei cittadini”, l’organo rappresentativo della corporazione più grande d’Europa (230.000 gli iscritti agli ordini) ha annunciato la disponibilità di migliaia di avvocati per eliminare l’arretrato civile “in tempi brevi, in maniera seria e scrupolosa, senza oneri per lo Stato e i cittadini”.

Un impegno esplicito dell’avvocatura che si propone in prima persona di restituire funzionalità all’amministrazione giudiziaria neutralizzando innanzitutto i pericoli delle disposizioni con cui il precedente governo aveva tentato di chiudere sbrigativamente l’imponente contenzioso civile senza adeguate garanzie per i soggetti coinvolti e inasprendo i costi della giustizia a carico degli utenti. Pericoli che non si limitano alle cause civili e commerciali, ma investono pure quelle relative ai delicati rapporti di lavoro.

Se non può farsi a meno di osservare che si tratta di una candidatura a risolvere un’impasse da parte di chi ha contribuito a determinarla, l’impegno “civico” degli avvocati, prospettato all’insegna della gratuità e del volontariato, non può essere ignorato. Verificate l’attendibilità e la praticabilità nell’interesse generale, il nuovo governo dovrebbe rendere tempestivamente tale impegno operante con rigorosi e sistematici controlli della sua corretta attuazione. Tanto più che la recente introduzione dell’obbligo preventivo di “mediazione” delle controversie civili non sembra risolutiva. Anzi, le spese per l’attività di mediazione, spesso infruttuosa, si aggiungono a quelle per accedere a un giudice terzo: nell’ultimo biennio l’insieme degli oneri di causa pretesi dallo Stato si è decuplicato, così il costo di un processo per il risarcimento danni da una compagnia di assicurazioni è passato dai 1.200 euro del 2009 ai 13.000 attuali.

D’altro canto, anche il ruolo dell’avvocato sembra rimesso in discussione. Influenzate dalla cultura economica e finanziaria dominante, le recenti riforme in materia di processo civile e quella in fieri sulla professione forense contengono disposizioni che, privilegiando il mondo degli affari e penalizzando quello del lavoro e del no-profit, sono destinate a divaricare sempre più l’unitarietà della funzione difensiva e a incidere su caratteri e modalità dei servizi legali. Ad esempio la diffusione dei “giuristi d’impresa” e le prospettate società di capitali e di legali rischiano di indebolire l’autonomia della professione legale. Così i legali-dipendenti che proteggono i profitti aziendali seguendo direttive vincolanti si contrapporranno sempre di più agli avvocati-indipendenti che aspirano a tutelare liberamente i diritti dei cittadini.

Una contrapposizione acuita dalle attuali disparità impositive: le persone giuridiche sottraggono dall’Irpeg tutte le spese legali come costi d’impresa, le persone fisiche invece sopportano interamente gli oneri erariali per avviare o resistere a un’azione legale. Una sperequazione che si ripercuote negativamente sulla capacità economica dei cittadini di accedere alla giustizia e, dunque, sulla fiducia nell’imparzialità dello Stato. E l’impoverimento di ampie fasce sociali provocato dalla recente manovra economica accentuerà il fenomeno.

Eppure, se il nuovo governo, come primo passo della razionalizzazione del sistema tributario, accanto alla deducibilità/detrazione dall’Irpef delle spese per i servizi di manutenzione oggi spesso forniti in nero, prevedesse anche la deducibilità/detrazione degli oneri per i servizi legali, otterrebbe più trasparenza ed equità fiscale con positivi riflessi tanto sulla lotta all’evasione quanto sull’esercizio delle libertà civili.