Magistrati nel mirino. L’assassinio di Patricia Acioli, giudice del Tribunale penale di Rio de Janeiro, impegnata in numerosi processi contro poliziotti corrotti e squadre della morte (milicias), avvenuto a Niteroi lo scorso 13 agosto, rappresenta una plateale esibizione di potenza da parte di chi, anche nelle istituzioni, si oppone al rispetto della legge. Il commando di almeno 12 persone che l’ha uccisa non solo ha usato armi in dotazione esclusiva di forze armate e polizia civile e militare di Rio de Janeiro; ma ha agito quando al giudice era stata tolta la scorta armata nonostante le minacce di morte dopo aver condannato 4 agenti autori di almeno 11 omicidi su commissione: un esplicito avvertimento ai magistrati che non si lasciano intimidire.

Sia pure non così eclatanti, sono migliaia i police killings che infestano il Paese più esteso dell’America Latina e che restano impuniti. Del Brasile sono conosciuti i primati economici e commerciali, meno quelli sulla violazione dei diritti umani e sugli effetti collaterali negativi del boom economico. Un prolungato senso di colpa per non essersi a sufficienza adoperati contro i crimini della dittatura militare nel 1964-85 sembra spingere i grandi giornali europei a non guardare troppo quelli commessi dal “Brasile democratico” per non turbare il mondo degli affari.

Eppure indagini indipendenti documentano da tempo il consolidarsi di un modello di crescita rapida che si giova di forme diffuse di violenza, corruzione, discriminazione razziale. Una recente analisi comparata rivela il paradosso dell’unico Paese dove, finita la dittatura, sono aumentati i casi di tortura. Mentre l’Human Rights Council dell’Onu, Amnesty International, Human Rights Watch e le Pastorali della Conferenza Episcopale brasiliana segnalano l’uso crescente di lavoro in schiavitù, arresti arbitrari e “esecuzioni extragiudiziali”. Una escalation nell’uso della forza attraverso la triangolazione di polizie, corpi speciali e milicias concentrata nelle favelas di Rio de Janeiro e di San Paolo, dove vivono milioni di persone per lo più di colore, ritenute quantité négligeable. Così una moltitudine di esseri umani, alla lotta per la sopravvivenza quotidiana è costretta ad aggiungere quella per la difesa della libertà personale e l’integrità fisica, minacciate da soprusi e sopraffazioni spesso con esiti letali.

Un “equilibrio del terrore” che la debole azione di contrasto del governo non riesce a rompere, mentre aumentano i casi di censura sui mezzi di informazione e di giornalisti di inchiesta minacciati, aggrediti o uccisi.

La brutalità delle forze dell’ordine, esercitata sulla microcriminalità, sui detenuti e su chi protesta per i propri diritti, tuttavia, non si spiega soltanto con la cultura della violenza, lascito non ripudiato della passata dittatura. Ad alimentarla sono soprattutto i fenomeni di collusione e connivenza sia con le organizzazioni del narcotraffico e della prostituzione operanti nelle aree urbane e metropolitane, sia con i grandi proprietari terrieri interessati al business dei bio-combustibili a danno dei contadini e dei “senza terra” nelle aree rurali.

La diffusa protezione di interessi privati illegali da parte di agenti di pubblica sicurezza che, con reciproche convenienze, coinvolge anche i rappresentanti delle istituzioni preposte alla formazione e alla tutela delle leggi e delle regole di convivenza civile, costituisce ormai un sistema di corruzione radicato e crescente in molte aree del Paese: nell’ultimo decennio il Brasile è passato dal 46° posto al 69° nella graduatoria del Corruption Perception Index (CPI) di Transparency International.

Il dilagare della corruzione, che tocca pure le più alte cariche dello Stato (di recente due ministri sono stati costretti alle dimissioni accusati di corruzione) e delle forze dell’ordine, è favorito dalla modestia delle retribuzioni (assai più basse rispetto a quelle dei giovani trafficanti di stupefacenti), e ha negativi riflessi non solo sui processi di crescita economica sostenibile, ma anche sulla qualità del contesto sociale in termini di ostacoli all’affermazione del merito, di demotivazione politica e di disimpegno civile. La più sistematica denuncia di questa deriva neobarbarica da parte dell’opinione pubblica del Vecchio continente, divulgata con il dovuto risalto mediatico e politico, offrirebbe una sponda solidale a chi in Brasile si batte per il rispetto dei diritti umani, le libertà civili e la cultura della legalità.

 

I temi affrontati dall'autore in questo articolo sono trattati più in dettaglio dall'autore nel suo ultimo libro.