La prima visita ufficiale che da domani sino a domenica 25 porterà Benedetto XVI in Germania lo farà arrivare nel cuore di una duplice crisi: quella delle forti tensioni interne che stanno rendendo sempre più fragile la posizione pubblica della Chiesa cattolica, e quella che sta mettendo alla prova la tenuta del progetto europeo.

Per entrambe la Germania rappresenta uno snodo chiave, e le vicissitudini attuali della Chiesa non sono irrilevanti rispetto al futuro dell'Europa, se si guardano le cose da Berlino. {C}Il papa troverà una Chiesa esausta per le continue lotte intestine fra cattolicesimo conciliare e la frangia neo-tradizionalista - minoritaria, ma forte sul versante della comunicazione pubblica (soprattutto via Internet), che gode di non poche simpatie nei meandri della curia romana. La «macchina delatoria», che caratterizza sempre più tristemente la vita interna della Chiesa cattolica, sta producendo i suoi frutti. Un sospetto diffuso, irrigidimento dei rapporti, limitazione effettiva del potere di giurisdizione dei vescovi sulle loro Chiese locali. Nel febbraio del 2011 un grosso numero di teologi e teologhe ha cercato di reagire all'interminabile stagnazione dei rapporti fra Chiesa e cultura contemporanea con un Memorandum in cui si delineavano alcune necessarie riforme interne per riportare il cattolicesimo all'altezza delle sfide dell'ora presente. Non si è trattato di un manifesto liberale, come i conservatori hanno cercato di presentarlo attraverso mezzi stampa amici sia in Germania che in Italia, ma di una presa di posizione pubblica di uomini e donne sinceramente credenti e legati alle vicende della loro Chiesa; biografie ferite proprio nel loro attaccamento all'istituzione della fede che continua a guardare alla teologia accademica con sospetto cartesiano, mentre fa concessioni sempre più generose al fronte opposto. Ci troviamo però davanti a un tornante che potrebbe rivelarsi inedito nella storia della Chiesa: la volontà di fare di questioni di «disciplina» un articolo di appartenenza alla Chiesa, da un lato, e di soprassedere a considerare divisioni dottrinali su questioni centrali come decisive per la medesima appartenenza, dall'altro. Se si giungesse a questo, allora sì che si andrebbe a provocare una cesura nella tradizione cattolica - e lo si farebbe a causa di quel ceto conservatore che si propone a custode della tradizione stessa. In ogni caso, se c'è qualcuno che oggi in Germania sta tessendo le trame per un presunto «scisma», esso va cercato all'interno del neo-tradizionalismo cattolico e nella sua strategia mediatica messa in scena in questi ultimi mesi.

Da tutto questo la Chiesa tedesca ne esce come esaurita, con le forze ridotte al lumicino. Sembrano essere oramai passati i tempi in cui essa riusciva a esprimersi autorevolmente, e con competenza, su problemi cruciali della società odierna - economia, ecologia, povertà, politica. Il suo silenzio sulla perdurante crisi economica mondiale è stato assordante, proprio perché in altre stagioni la Chiesa tedesca è stata capace di parole e proposte significative in merito. A essa guardava, in maniera più o meno esplicita, tutto il cattolicesimo europeo. Ma era anche un punto di riferimento per gli spiriti più sensibili e acuti della vita culturale e politica del nostro continente. Oggi siamo tutti più soli e abbandonati a noi stessi, credenti e non. La Curia romana sarà anche riuscita a indebolire un cattolicesimo di cui ha sempre avuto timore, e non ha mai veramente compreso; ma la Chiesa cattolica si trova privata di una risorsa importante. Le conseguenze che si dovranno pagare non faranno distinzione tra le posizioni occupate nello spettro politico della vita della Chiesa, colpiranno tutti indistintamente. E questo sarà anche a detrimento della già fragile condizione di salute della vita politica ed economica dell'Europa; cui è mancata finora una parola di convinto appoggio e la suggestione di una disponibilità alla collaborazione da parte della Chiesa.

L'occasione si presenta ora e non sarà ripetibile, perché non sappiamo che cosa ne sarà dell'Unione e dei suoi capisaldi dopo il passaggio di una tempesta che non sembra voler diminuire di intensità. Benedetto XVI incontrerà a Freiburg, in forma privata, l'ex cancelliere Helmuth Kohl, profondamente provato nella salute fisica e nello spirito; ma pur sempre uno dei padri contemporanei dell'idealità del progetto europeo. Se quell'incontro non si concluderà in semplice celebrazione, e se Kohl avrà la forza di legare la sua memoria biografica ai destini incerti dell'Europa, allora potrebbe offrirsi l'occasione per uno sbilanciamento del papa a favore di un'idea di Europa che, liberata autorevolmente dalla tutela religiosa del cristianesimo, possa ritrovare una forza immaginativa più forte dei rigurgiti e degli interessi nazionalisti che ne hanno bloccato fin qui una più incisiva e convinta azione di fronte all'impasse regressivo che sta sgretolando il tessuto comune della nostra socialità europea. Pur nella sua debolezza, non c'è istituzione come la Chiesa cattolica che abbia affinato una sensibilità operativa trasversale ai perduranti «confini» degli interessi delle singole entità nazionali. E pur da una posizione oggi più debole che in passato, solo la Germania può proporsi come punto di riferimento per una nuova stagione dello spirito europeo e portare a termine l'incompiuta che sta paralizzando un nuovo posizionamento dell'Europa sugli scenari della globalizzazione finanziaria del mondo. Rimane da vedere se non si tratterà di un'ulteriore occasione perduta; l'augurio è solo che possa non essere così.