Quale sarà, nel XXI secolo, il futuro della Festa della Mamma? E soprattutto ci sarà un futuro? A spingere al pessimismo, almeno in Italia, vi sono da un lato lo statuto ambiguo della celebrazione ricevuto in eredità, dall’altro la stanca ripetitività che caratterizza i preparativi dei festeggiamenti, quest’anno come gli anni passati.

Voltate le spalle con decisione alle regie demografiche di massa che contraddistinguevano la celebrazione nella prima metà del secolo passato, nell’Italia repubblicana la premiazione della mamma dell’anno è stata, all’inizio, la risposta alla possibile sopravvivenza di questa data rituale. Prima che la ricorrenza di questa tradizione venisse fagocitata a livello popolare da imposizioni di mode e consumi standardizzati oppure da festeggiamenti di vario tipo (anche di notevole interesse) ma relegati a livello locale. Una mamma dell’anno ci sarà anche quest’anno, alla fine, e sarà la vincitrice del concorso lanciato dalla rivista "Insieme. Periodico per gli operatori della vita collettiva", espressione di precise correnti culturali. Una festa, dunque, dalla fisionomia polivalente, mobile e quindi neutralizzata e depotenziata, sempre più marginalizzata e defilata negli scenari dei rituali pubblici?

In buona misura, almeno in Italia, la natura e l’immagine di questa festa oscilla tra l’appiattimento mercificato e la totale impotenza a esibire una qualsiasi influenza sul dibattito pubblico. Certo, iniezioni di retorica strumentale al servizio di un facile consenso popolare sono sempre possibili in periodo elettorale e a Milano Berlusconi e Letizia Moratti non hanno perso l’occasione di solleticare i buoni sentimenti al ritmo di Viva la Mamma di Bennato. Ma, quanto a retorica un po’ bollita (“festeggiarla è d’obbligo”), anche i network di blogger, che danno voce ai problemi delle mamme italiane di oggi, non scherzano. Qualche esempio tra i tanti suggerimenti per dare significato a questa festa? Biglietti di auguri con cuori e fiori colorati a tre dimensioni, collane con fili intrecciati di pasta, decorazioni di bicchieri, album fotografici per la mamma costruiti sia con le immagini della sua maternità, sia da sola per “celebrare la sua vita di donna prima e dopo la maternità”. Il tutto debitamente corredato di istruzioni per l’uso, all’insegna di parole d’ordine come “tutto velocissimo”, “tutto riciclato”. Non mancano, per chi è poco incline alla creatività manuale, varie proposte di regali (pilotati dal marketing delle aziende per far sentire tutte le mamme vip, almeno per un giorno), raccolte di poesie da offrire come forma di omaggio (una delle più antiche, erano già in voga nella prima metà dell’altro secolo), ma anche diplomi di mamma perfetta prestampati e persino una scheda di compiti per la giornata (da dividersi nel migliore dei casi con il papà) per “rendere la festa della mamma un giorno da ricordare con gioia e che potrà raccontare alle sue amiche”.

Siamo ovviamente in quell’impero irresistibile della società dei consumi e quindi nel territorio di elaborazione e cristallizazione di una cultura popolare che andrebbe presa sul serio per l’intima familiarietà che esprime con gusti, abitudini, tic e automatismi di ogni tipo diffusi attorno all’essere madri e alla maternità. Sui blogger più seguiti e amati perchè giudicati “isole felici lontani da stereotipi e pali” e intelligentemente ironici nello smitizzare la figura della mamma perfetta, la festa della mamma può essere oggetto di oblio venato da scettico ostracismo, oppure rappresentare l’occasione per esprimere un solidale sentimento di autocelebrazione (mi baso su quanto è avvenuto nel 2009) e scambiarsi gli auguri reciproci tra creatrice e contatti (“tanti auguri a noi”). Protese a enumerare puntigliosamente il festeggiamento attraverso gli anni della propria maternità, le madri sono diventate così esse stesse le attrici della festa, capovolgendo drasticamente gli omaggi di ogni tipo ipotizzati in onore e per le mamme dagli altri membri della famiglia. In questi bloggers il linguaggio va ruvidamente al sodo quanto a fatiche, rimpianti e acrobazie nel conciliare impegni di lavoro e prestazioni materne e spesso manifesti in aperta sfida con la retorica celebratica sono d’obbligo. Le retoriche maternaliste, quando vi sono, si presentano sotto forma di una minuta attenzione al linguaggio infantile e alle sue deformazioni, fatto questo che imprime a molti post la teatralizzazione di dialoghi lunari.

Il primo bisogno cui intendono rispondere le madri blogger è quello della condivisione dell’esperienza per reagire al senso di solitudine in cui si precipita (perchè non “figliare contemporaneamente”?), ma per diventare una madre blogger seguita e amata all’empatia calcolata vanno affiancate strategie seduttive nel racconto di sè, in cui l’ironia è ingrediente indispensabile. Prima o poi quelle che ci riescono approdano al libro-racconto della loro esperienza (così è accaduto, nel 2009, per Una Mamma da Url, di Patrizia Violi e per Quello che le mamme non dicono, di Chiara Cecilia Santamaria, oppure per Il primo libro di una mamma, di Giuliana Girino), a collaborazioni più o meno stabili con la stampa – sia nel mondo delle riviste femminili sia nei quotidiani - con una presenza fissa sui network di blogger ed eventuali ingaggi da parte delle ditte. Diventano, insomma, mamme blogger a contratto, e le possibili metamorfosi di questo passaggio sono ora oggetto di di discussione.

Come tutte le appartenenze, anche quella alla comunità virtuale di madri è instabile. La familiarità con lo strumento tecnologico diffusa nelle generazioni più giovani – soprattutto, va sottolineato, al Nord – facilita, infatti, la spola tra più siti da parte delle mamme, a seconda dei bisogni del momento. Se è la ricerca di condivisione e di complicità a spingere verso i diari delle madri, per informazioni di diverso genere, mediche in primo luogo, sono altri i siti cui ci si rivolge, quelli che sono stati creati appunto per servizi di questo tipo. Insomma, la blogosfera è un’apertura sulla realtà dell’essere madri oggi a più strati. Mobilitare i sentimenti comuni sul piano simbolico non è mai facile e i significati non si inventano dall’oggi al domani. Ma tra la democrazia del riconoscimento, esclusivamente basata sul minimo degli elementi comuni e centrata su prevaricanti quotidianeità familiari, e il puro avvallo a protocolli standardizzati (o via di rapida standardizzazione), è ipotizzabile fare di questa festa una cassa di risonanza per un bilancio critico sulla società italiana e sulle difficoltà per le donne di crescere dei figli in un ambiente che tenga conto delle loro esigenze? È forse lo scetticismo di molte madri blogger a inoltrarsi oltre il terreno dello sfogo (ironico) delle loro acrobazie e disavventure quotidiane il principale ostacolo.