L’anno della celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia è stato finora attraversato da lacerazioni, polemiche e dispetti tra le forze partitiche, mostrando quanto in Italia ci si possa dividere su tutto, anche sul significato della sua Unità.

Proprio quest’anno, per ironia della sorte, la festività del 25 aprile coincide con Pasquetta, festa che tutti conoscono più che per il significato religioso per la tradizione del picnic nei prati e delle tavolate tra amici. Quest’anno, dunque, più ancora degli altri anni, la ricorrenza del 25 aprile rischia di passare in sordina, affossata da una classe politica al governo estranea alla lotta di liberazione, alla fondazione della Repubblica e quindi a tutte quelle festività civili che, nelle altre nazioni, scandiscono il calendario della memoria pubblica e raccordano, magari anche in maniera dibattuta e contesa, l’identità della nazione.

Già in passato – dopo che, nel 1946, fu dichiarata festa nazionale dal governo De Gasperi, come tributo al riscatto etico rispetto al fascismo – questa ritualità, dal carattere insieme istituzionale e di festa popolare, ha avuto una vita tormentata.

Fortemente differenziata politicamente negli anni della guerra fredda, rilegittimata come festa nazionale e di coesione delle forze politiche dell’arco costituzionale durante il governo di centro sinistra, rilanciata, spesso in chiave alternativa, dal movimento del ’68, ridotta a retorica e indebolita nei suoi aspetti popolari e di massa negli anni ottanta, ha infine subìto, dopo il crollo della “prima Repubblica”, in particolare con i governi di centro destra, attacchi e delegittimazioni di ogni tipo. Queste delegittimazioni condite da tentativi revisionistici, criminalizzazioni della Resistenza, rivalutazioni della Repubblica Sociale, hanno finito per rivitalizzare le celebrazioni del 25 aprile, che hanno, per reazione, assunto connotazioni di opposizione politica al governo di centrodestra.

Ancora una volta è emersa la peculiarità dell’Italia che in maniera pervicace rende ogni aspetto dell’identità collettiva un campo di lotta tra fazioni avverse. Le strategie della memoria, che costituiscono parte fondamentale della costruzione del comune senso di appartenenza, sono state appannaggio dei partiti che hanno svolto questo compito in maniera conflittuale e senza quel riferimento comune a un interesse superiore, come pur è avvenuto in altri Paesi europei.

Almeno un’istituzione, la presidenza della Repubblica ha avuto, soprattutto con Ciampi e con Napolitano, la tenacia di valorizzare aspetti della memoria collettiva e dare visibilità a quelle ritualità repubblicane senza le quali nessun senso civico può svilupparsi e sopravvivere a lungo.

Le parole pronunciate dal Presidente Napolitano l’anno scorso suonano come un monito in questa direzione: “Il 25 aprile non è solo Festa della Liberazione: è Festa della riunificazione d'Italia […] è una storica giornata di riscatto nazionale, al di là di ogni caratterizzazione di parte”. C’è allora da chiedersi non solo che significato può avere oggi la celebrazione del 25 aprile per le nuove generazioni, ma che tipo di Paese è quello che non sa trovare, pur nelle diversità di pensiero e di percorsi, nella giusta messa in discussione di immagini mitizzate e apologetiche, dei riferimenti simbolici ed ideali capaci di produrre un minimo di condivisione.

Rassegnarsi a non ricordare insieme è perdere il nostro passato e insieme anche il nostro futuro.