Quella di sabato scorso è stata la ventisettesima Lettura del Mulino. Da quando le Letture annuali si tengono in Santa Lucia - per i non bolognesi, l'Aula Magna dell'Università - non si era mai vista così tanta gente. Eppure, e basta scorrere rapidamente l'elenco per accorgersene, ci sono state molte Letture belle e importanti, per il tema e per il lettore. Ma sabato Sabino Cassese e i suoi dubbi sull'esistenza di uno Stato “insufficiente” hanno raccolto tante persone come non mai.
Il merito, naturalmente, va allo studioso, al professore di fama internazionale che ha accompagnato il suo lavoro con l'impegno civile e politico. Ma il successo dell'appuntamento dipende anche dal tema prescelto: una società, la nostra, che deve scontare uno Stato troppo debole. Non poco Stato, ché come vediamo ogni giorno per certi versi ne abbiamo sin troppo. I danni provocati dallo statalismo e dall'assistenzialismo di Stato non possono certo far rimpiangere certe logiche. Ma assenza di Stato intesa come mancanza di un "un severo minimo di governo", di un minimo regolatore comune, di uno Stato la cui autorevolezza non venga posta in dubbio e anzi sia riconosciuta senza distinzioni di alcun tipo, neppure territoriali. Le tante celebrazioni per i centocinquant'anni dell'Unità hanno sottolineato, come ha fatto in apertura lo stesso Cassese, i progressi straordinari compiuti dall'Italia e dagli italiani in un secolo e mezzo. Ma, almeno le più franche, al tempo stesso non hanno potuto celare le enormi differenze che separano oggi il Paese. Tra Nord e Sud, ovviamente (60.000 italiani ancora oggi migrano ogni anno verso Nord). Ma anche in termini di diseguaglianze e impari opportunità.