Sin dalle elementari, l’alunno Mario Monti ha studiato al Leone XIII, storico collegio milanese gestito dalla Compagnia di Gesù a due passi da porta Sempione. Nello stesso collegio, a partire dall’anno scolastico 1956/1957 ha frequentato il liceo classico nella sezione B. Un suo compagno di classe di allora lo ricorda così: “Era un ragazzo serio ma cordiale, non l’ho mai visto perdere la pazienza; e non aveva quell’aspetto un po’ imbronciato che appare nelle foto pubblicate sui principali quotidiani. Aveva un sottile senso dello humor. Io e lui avevamo una cosa in comune: eravamo deboli in ginnastica. Per il resto mentre io leggevo ancora Topolino lui sfogliava già le riviste di economia”. Inutile sottolineare, e infatti il suo compagno si guarda bene dal farlo, che il giovane Monti aveva un profitto notevole e faceva sempre tutti i compiti a casa. Ora, proviamo a immaginarcelo, il nostro presidente del Consiglio, che di ritorno dall’ennesima trasferta a Bruxelles, questa volta faticosissima ma fruttuosa, deve mettersi alla scrivania per dare seguito agli impegni presi. Insomma, per fare i compiti a casa. Lo fa con la consueta intelligenza e devozione ma anche con un sottile senso di colpa perché, suo malgrado, per la prima volta nella vita non è tra i primi della classe. Per di più non si tratta di una bella versione di greco, né Tucidide né tanto meno Erodoto. Sono anzi compiti un po’ noiosi: è matematica, e per giunta elementare.
Per quanto la si voglia chiamare “spending review”, altro non è se non una comune partita doppia. Tanto entra, tanto esce. Nel caso italiano, com’è noto, con un debito pubblico che ormai veleggia verso i 2.000 miliardi di euro (ma, come mostra bene questo terrificante link, continua a crescere mentre io scrivo e mentre voi leggete) il problema è sempre lo stesso. L’allegro banchetto cui la partitocrazia si è servita per decenni per alimentare lo scambio tra spesa pubblica e voti. Giunti a questo punto, con il malefico spread che continua a pulsare per ricordarci l’enorme spreco di risorse sotto forma di interessi per rimborsare tale debito (pari, solo per riferirsi a quanto speso in una giornata tipo, sempre quella in cui scrivo, a quasi 67 milioni di euro), bisogna decidere che cosa tagliare. Perché la “spending review”, che in teoria potrebbe anche voler dire risparmio di qua per investire di là, altro non è se non soprattutto questo, tagli su tagli. Noia a parte, ecco la gravità del compito.