All’indomani della crisi di governo, il Partito democratico ha messo sul tavolo del confronto politico alcune questioni centrali. Tra queste, quella di una netta trasformazione strutturale della nostra economia per uscire dalla trappola mortale in cui tutta l’Europa è caduta.
Che un nuovo governo, a guida non leghista, debba disfarsi del decreto sicurezza, approvato alla vigilia della crisi nella sua versione bis, è fuori discussione. Lo è, prima di tutto, per una questione morale e civile, che va ben oltre gli aspetti tecnici e operativi della legge, e delle negative conseguenze che essa ha sulla gestione dei flussi migratori irregolari.
La speranza è che sia un governo di legislatura con la voglia davvero di imprimere una svolta. Perché serve tempo, in un Paese che invece vive compulsivamente solo nel presente e nel quale l’offerta politica cerca prevalentemente, se non esclusivamente, temi e decisioni con effetti immediati, percepibili dai beneficiari, da portare subito all’incasso in termini di consenso.
Un terremoto è un’esperienza che non si dimentica. Gli esseri umani dipendono in modo essenziale dal terreno su cui poggiano i piedi: per muoversi, esplorare le aree circostanti, spostare oggetti. Non è un mero accidente che qualunque progetto – e in generale la nostra capacità di pensare al futuro – richiami naturalmente l’immagine di un percorso:
Straniamento: forse non c’è una parola più adatta per descrivere la sensazione che si prova osservando ciò che sta accadendo in queste settimane nel nostro Paese. Il dibattito pubblico è prevalentemente assorbito da questioni poco serie, o – per meglio dire – da questioni la cui gravità deriva più dal coinvolgimento che tali questioni generano piuttosto che dalla loro effettiva rilevanza. Detto in altri termini, il dibattito politico (se ancora così lo si può definire) è ormai appiattito su faccende di corto respiro