La politica torna a parlare di diritto alla cittadinanza. Lo fa per l’ennesima volta nel tentativo di modificare una legge risalente al 1992 e fondata sullo ius sanguinis (diritto di sangue), che fa derivare la cittadinanza da quella dei genitori e degli antenati. Ad oggi lo Stato italiano riconosce come suo cittadino chiunque abbia almeno un genitore italiano, senza distinzione tra chi nasce in Italia e chi nasce all’estero.
Nonostante le scarse fortune politiche dell’ambientalismo italiano e a dispetto delle tesi pessimistiche sul declino della partecipazione giovanile, lo scorso 27 settembre centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze sfilavano in corteo nelle strade del nostro Paese.
A meno di due anni di distanza dall’ultima riforma per l’elezione delle due Camere (riforma varata con la “legge Rosato” n. 165 del 2017), si ripropone oggi in Italia il tema di un'ulteriore riforma elettorale. Come affrontare questo nuovo, difficile passaggio al fine di giungere a una soluzione ragionevole e, soprattutto, utile?
Quando si parla di legislazione elettorale occorre partire da una premessa forse un po’ ovvia, ma che va ricordata.
Con l’approvazione in seconda lettura da parte della Camera, si è completato l’iter parlamentare per la legge di revisione costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari. Com’è noto, con l’entrata in vigore della riforma i deputati passerebbero da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200 (più quelli a vita). La politica tende a celebrare anche le mere proposte vendendole come risultati acquisiti.
Il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 ha rappresentato un turning point dell’evoluzione istituzionale italiana. Per un verso, ha scoraggiato ogni ulteriore tentativo di procedere a riforme costituzionali complessive, o comunque al loro interno coordinate.