Sulle pagine dei giornali (e nei post sui social), l’eroe del momento è Stefano Bonaccini. Gli uomini (e le donne) che fecero l’impresa sono gli elettori emiliano-romagnoli. Il Pd è il partito capace di sconfiggere Salvini a mani nude, con la sola forza del buon governo; mentre le sardine sono la spinta civica che tira la volata. Poi c’è la Calabria, una regione da sempre e da tutti data per persa.
Ci sono molti modi per guardare a quanto è accaduto con il voto di domenica. I due più chiari sono chiedersi chi ha vinto e chi ha perso, ovviamente in prospettiva lunga (sull’immediato i dati sono evidenti) e domandarsi se ed eventualmente quali ricadute avrà quel voto sul governo Conte 2. Conviene però provare a inserire tutto in un quadro più vasto.
Una prima considerazione è che abbiamo visto un Paese spaccato in due da più punti di vista.
Quando politici e osservatori pensano alla sinistra, alla sua crisi e ai modi per uscirne, ricorrono perlomeno a due strategie. La prima si propone di elaborare una prospettiva post-ideologica e al passo coi tempi, facendo spesso ricorso a concetti e parole d’ordine che un tempo erano utilizzate nel campo avversario.
Se non c’è democrazia nel Partito socialdemocratico tedesco, che cerca di introdurre la democrazia nel sistema politico della Germania imperiale e lotta per ottenerla, la democrazia non potrà mai affermarsi. Al contrario, si imporrà, scrisse memorabilmente Robert Michels, «la legge ferrea dell’oligarchia»
Nel tentativo di fornire una definizione ai partiti politici, la scienza politica ha insistito su un aspetto che sembrava coglierne l’essenza e soprattutto demarcarne i confini con ogni altro tipo di associazione o gruppo: la sua esclusività nell’arena elettorale. Il certificato di garanzia dell’essere un partito politico verrebbe quindi dal presidiare l’ambito elettorale.