Quando, nel 1945, si trattò di avviare tra enormi difficoltà la ricostruzione del Paese, fu un gruppo di uomini a garantire allo Stato l’expertise necessaria per uscire dalle secche della sconfitta bellica. Donato Menichella primo fra tutti, e poi Pasquale Saraceno, un altro giovane di scuola-Iri; e più tardi Guido Carli, che proprio all’Iri si era fatto le ossa a ridosso della guerra.
Un entusiasmo di stampo patriottico accompagna in queste ore il lavoro preparatorio per la nascita dell’esecutivo di Mario Monti. Mentre l’abbandono della prima scena da parte di Silvio Berlusconi (ma come si è visto non del palcoscenico) viene accompagnato da manifestazioni di giubilo e da grida liberatorie.
Giovani? No grazie. L’Italia non sa proprio che farsene. Siamo uno dei Paesi al mondo che maggiormente ha ridotto la produzione quantitativa di nuove generazioni. Eppure “giovane” ha la stessa radice del verbo latino “iuvare”, richiama il concetto di essere utile, di giovare alla società, di essere profittevole per il bene comune. Cosa fa invece una società che li considera inutili?
In questi giorni i candidati a ricoprire la carica di capo del governo si sprecano. Bene, la prima cosa che il prossimo presidente del Consiglio dovrebbe fare sarebbe rivoluzionare il patto sociale degli italiani. Oggi, infatti, accanto alla Costituzione (e contro di essa), c’è un accordo non scritto, ma ferreo, che permette a moltissimi italiani di non pagare le tasse.
C’è anzitutto la soddisfazione di avere, come prossimo governatore della Banca d’Italia, un socio del Mulino, che molto ha dato al lavoro della nostra Associazione, della casa editrice e delle sue pubblicazioni.
Ma c’è anche la soddisfazione per l’esito positivo di una vicenda a tratti sconcertante quando non umiliante per il buon nome del Paese.