«In un mondo dominato dall’economia della conoscenza, un Paese che non investe in ricerca, sviluppo e cultura non ha futuro». Questo grido di allarme lanciato dal fisico Giorgio Parisi sintetizza le motivazioni della petizione che ha già raggiunto quasi settantamila sottoscrizioni, Salviamo la Ricerca, e cresce ancora.
«Chi fermerà la musica?» è il titolo di una petizione che in questi giorni sta raccogliendo migliaia di adesioni online. Di che si tratta? Dell’ennesimo pasticcio italiano, in questo caso riferito ai licei musicali e coreutici.
Che l’università debba preparare al lavoro è un luogo comune. Anzi un tormentone, un mantra, una sentenza, ripetuta dalle fonti che in questo Paese hanno in assoluto più ascolto, e cioè le aziende.
La nuova legge sulla cittadinanza, appena licenziata dalla Camera e prossima a essere discussa al Senato, colma un ritardo ventennale nella nostra normativa, rendendo assai più agevole l’ottenimento della cittadinanza italiana per i figli dell’immigrazione.
Si tratta di provvedimento di civiltà,
“Ma insomma, prof, si può imparare anche fuori dalla scuola! Perché dovete dirmi voi quello che devo imparare?!”. Luca, 17 anni, la testa inghiottita dal cappuccio, emerge dal torpore che lo avvolge da più di un’ora e irrompe, con fare spazientito, nel mezzo della lezione. Impossibile ignorare quelle parole, che hanno come bersaglio tutte le mie convinzioni. Colta alla sprovvista, imbastisco una risposta improvvisata, ma quella provocazione mi costringe a riflettere.