Qualche giorno prima di risultare nettamente vincente al primo turno delle elezioni comunali romane, la candidata del M5S Virginia Raggi ha parlato di moneta complementare, suscitando reazioni di dileggio e di forte critica. Lorenza Bonaccorsi, responsabile nazionale Cultura e Turismo del Pd, liquidando la proposta come ridicola, ha subito evocato un “ritorno al baratto” che aprirebbe le porte alla “decrescita felice”. Oscar Giannino è entrato più nel dettaglio e ha sostenuto che “non si può sostituire l’euro”, perché “nessuna moneta alternativa può avere corso forzoso legale” o “oscillare di valore”. In più, “non c’è convenienza economica, nessuno guadagna, nessuno fa profitti».

Si nota un grande confusione su questo tema. Innanzitutto, una cosa è parlare di moneta complementare rispetto a quella alternativa o virtuale; un’altra è equipararla al baratto e identificarla con un modello di economia semplice, un po’ naif, fuori dai parametri dell’economia di mercato. Raggi ha affermato di essere allo studio del modello Sardex, moneta complementare operante in Sardegna dal 2009, alla quale si ispira anche Tibex, attivo sul territorio laziale. Si tratta chiaramente di una proposta perfettibile che dovrà affrontare non pochi nodi importanti; ma non di un’idea campata in aria.

Stiamo parlando di un circuito di mutuo credito pensato principalmente per le piccole e medie imprese che comprano beni e servizi all’interno del network di affiliati in un territorio definito. Sardex è la moneta utilizzata per queste compravendite ed è fissata in parità con l’euro, anche se con esso non è scambiabile (cosa strutturalmente importante per evitare speculazione). Uno degli aspetti più interessanti di “design” di questa moneta è l’assenza di tasso di interesse, il cui effetto principale si riscontra in una maggiore velocità di circolazione rispetto all’euro. Quanto dice Bonaccorsi riguardo alla crescita è in parte giusto, questo tipo di moneta non è ottimizzato per la crescita; ma nemmeno per la decrescita, dal momento che intende sostenere il mercato (locale) di prodotti e servizi.

Così, si tende non ad accumulare Sardex, quanto piuttosto a spenderli, il che aiuta l’economia locale. I titolari delle imprese e delle ditte aderenti al circuito possono comprare beni e servizi utili alla propria attività, oppure per bisogni personali. Non si tratta quindi di baratto, perché il valore delle merci scambiate non si definisce di volta in volta e perché si tratta di uno scambio multilaterale tra più soggetti. Non si tratta neanche di un’economia ingenua o buonista, perché uno dei motivi di adesione delle aziende è quello di acquisire nuovi clienti e aumentare al liquidità per poter transare e rimanere sul mercato in tempi di crisi. E il profitto rimane; quello che manca, volutamente, è la finanzializzazione, proprio perché la crescita non è il primo obbiettivo.

La trasparenza del sistema di pagamento permette di tracciare ogni transazione e di pagare le tasse (questa volta in euro) con l’effetto di costruire e rinsaldare la fiducia nella comunità – radicata a livello territoriale e identitario – che il circuito rappresenta. La fiducia è, infatti, il collante che rende sostenibile ed efficiente il circuito di mutuo credito, aggiungendo valore sociale a quello economico. Alcuni risultati si ravvedono nel dinamismo dell’economia locale, nella crescita costante del numero degli aderenti e della loro soddisfazione personale. In poche parole, c’è complementarietà tra Sardex e sistema economico vigente, non c’è sostituzione né ritorno a un’economia di “sesterzi”.

Prospettive molto promettenti su cui tornare riguardano poi la partecipazione al circuito di enti locali o dei dipendenti delle imprese del circuito. Nel primo caso, si stanno sperimentando percorsi per accorciare i tempi di pagamenti della pubblica amministrazione verso i creditori che accetterebbero parte del pagamento in sardex. Nel secondo caso, ci sono già accordi tra impresa e lavoratori che accettano una quota del loro salario in sardex per evitare, ad esempio, licenziamenti.