Il 2013 sarà anno di elezioni in diversi Paesi, fra cui Italia e Germania. È facile prevedere che il tema delle tasse e dell’Europa dominerà le future campagne elettorali. In Italia perché l’Europa è vista come un padrone spietato che impone sempre e solo di tirare la cinghia, in Germania perché incombe la paura di dover pagare di tasca propria per le colpe altrui. Molti cercheranno di cavalcare l’ondata montante, e trasversale, dell’euroscetticismo e dell’antieuropeismo. Sia a destra, sia a sinistra. Il fenomeno è visibile dove la crisi morde adesso (come nell’Europa mediterranea), ma anche dove scatena paure di mordere in futuro (al Nord delle Alpi). In Italia, Grillo e Berlusconi sembrano voler agitare parole d’ordine contro l’euro e contro l’Unione europea in modo che nella testa della gente si rafforzi una connessione tra l’idea dei sacrifici e l’idea di Europa. Al tempo stesso, nel Paese oggi guidato da Angela Merkel, tanto all’interno della coalizione di governa, quanto all’opposizione si consolida il partito di chi vuol lasciare andare alla deriva i Paesi dell’area mediterranea.

Viene da chiedersi – e non si tratta di una domanda retorica – come sapranno rispondere le forze (o le debolezze) di centrosinistra all’offensiva populista congiunta di Grillo e Berlusconi, se, come è probabile, questi faranno a gara per egemonizzare l’antieuropeismo diffuso. Continueranno a far ricorso alle armi spuntate dell’antiberlusconismo, sfruttando, o piuttosto illudendosi di sfruttare le vicende giudiziarie del Cavaliere o le battute scurrili del comico genovese? A battagliare tra di loro su questioni di principio, su valori non negoziabili, come le nozze gay? Oppure avranno il coraggio e la forza politica per cercare di mettere insieme un grande schieramento sotto gli slogan “per uscire dalla crisi ci vuole più Europa”, “sviluppo vuol dire Stati Uniti d’Europa”, “meno tasse a Roma, più tasse a Bruxelles”?

Nei prossimi anni si rischia tutto: sessant’anni di piccoli e grandi passi verso un’Europa più unita, un benessere collettivo, una pace stabile, un disegno di lungo respiro. Chi parla d’Europa è in grado di dare una prospettiva ai giovani, chi ripiega sulla difesa degli Stati nazionali, che di fatto la sovranità l’hanno già perduta, non può che evocare gli spettri del passato.

Il realismo e l’esperienza non consentono di essere ottimisti. La sinistra, quando la crisi sistemica si avvicina, incomincia a dilaniarsi al suo interno e in questo modo non si accorge che siamo sull’orlo del baratro. È successo nella prima metà del Novecento quando sono nati i vari fascismi in risposta alle crisi d’allora. Non c’è dubbio che la crisi attuale presenti qualche analogia. Ma se non c’è un colpo d’ala della classe dirigente europea (ovviamente, non solo italiana) la metafora del baratro rischia di trasformarsi drammaticamente in realtà.