Lo strappo di Ozawa. L’ex presidente del Partito democratico giapponese, Ozawa Ichirô, e 49 parlamentari a lui vicini (37 appartenenti alla Camera bassa e 12 alla Camera alta) hanno ufficialmente presentato le dimissioni dal proprio partito il 2 luglio scorso, con l’intenzione di varare in pochi giorni una nuova formazione politica.

L’equilibrio di potere all'interno della Dieta è salvo (la coalizione Pd-Kokumin Shintô è maggioritaria alla Camera bassa, mentre la Camera alta è dominata dall’opposizione, composta da Partito liberal-democratico e Nuovo Kômeitô); aumentano però le minacce alla stabilità del gabinetto del primo ministro, Noda Yoshihiko, già in calo nei sondaggi. Altri “fedeli” di Ozawa potrebbero, infatti, seguirne l’esempio.

Il clan Ozawa è fuoriuscito dal partito il 26 giugno scorso per il voto contrario al progetto di legge di Noda che prevede, entro ottobre 2015, il raddoppio della tassa sui consumi, attualmente al 5% - manovra sostenuta invece dall’opposizione. Oltre all’inopportunità di aumentare la tassa in una lunga congiuntura di deflazione, col rischio di danneggiare l’economia e di ridurre gli introiti erariali totali, secondo Ozawa l’accordo a tre sull’aumento della tassa tradisce la promessa solenne fatta dal Partito democratico in occasione dell’ascesa al potere, nel 2009, di non aumentare le imposte. Una scommessa rischiosa anche per Ozawa: un sondaggio d’opinione della “Kyôdô News” mostra come solo il 15,9% degli intervistati riponga le proprie speranze nel futuro partito di Ozawa. Egli deve ora rafforzare l’unità tra i suoi seguaci e, possibilmente, accrescerne il numero: tre dei 52 membri della Dieta che avevano inizialmente lasciato il partito hanno fatto marcia indietro, visto che il Pd ha espulso quelli che si sono dimessi, sospeso per due mesi i diciotto che hanno respinto l’aumento della tassa pur rimanendo nel Partito e ammonito coloro che si sono astenuti dal voto.     

Ozawa tenterà probabilmente un avvicinamento al Partito Kizuna, formato nel dicembre 2011 da nove fuoriusciti dal Pd per protesta contro l’aumento della tassa, e al piccolo Shintô Daichi (cinque membri), tuttavia i tre gruppi, anche coalizzati, non hanno i numeri per presentare una mozione di sfiducia contro il Primo ministro. Ozawa potrebbe sondare un avvicinamento anche con il gruppo politico Ôsaka Ishin no Kai, guidato dal sindaco di Ôsaka, Hashimoto Toru, che ha espresso la volontà di fare il proprio ingresso sulla scena politica nazionale, proponendo di presentare candidati nelle prossime elezioni generali. La piattaforma per la prossima campagna elettorale del gruppo include la riorganizzazione della struttura governativa, riforme fiscali e amministrative e in materia di sicurezza sociale, la trasformazione della tassa sui consumi in imposta locale, l’abolizione del nucleare, la richiesta di un referendum per cambiare l’articolo 9 della Costituzione, un incremento delle spese per la difesa (pur considerando l’alleanza con gli Usa il fondamento della politica estera e di sicurezza) e il tentativo di disinnescare i contenziosi territoriali con Cina e Russia.

Dopo un periodo di calma nelle relazioni tra Tokyo e Mosca seguito allo tsunami, e soprattutto due sole settimane dopo che il Primo ministro Noda e il presidente Putin si sono accordati su una ripresa delle trattative sul contenzioso, il 5 luglio scorso il Primo ministro russo Medvedev ha compiuto una visita, contestatissima in Giappone, a Kunashiri, una delle isole contese, dichiarando che le isole sono parte del territorio russo da tempi antichi e che la Russia è determinata a non cedere una briciola del proprio territorio. Mentre il quarantesimo anniversario del trattato di pace tra Cina e Giappone - firmato il 29 settembre 1972 - si avvicina, anche il contenzioso con la Cina per le Senkaku è peggiorato dopo che il governatore di Tokyo, Ishihara Shintarô, ha annunciato, il 16 aprile scorso, che il governo metropolitano avrebbe difeso le Senkaku acquistando la maggior parte delle isole dai privati che ne detengono la proprietà. Il piano di Ishihara potrebbe portare a una crisi estremamente grave nei rapporti tra i due Paesi, annullando gli sforzi fatti finora, come l’accordo del 2008 per lo sfruttamento congiunto dei giacimenti di gas naturale nel Mare della Cina orientale, e rimandando la questione della demarcazione delle zone economiche esclusive di entrambi i Paesi nell’area.