La stampa israeliana tra idee e patrimoni. È risaputo che un indice fondamentale nello stato di salute di una democrazia sia la libertà di formazione e circolazione delle opinioni. Non è un caso, quindi, se l’informazione, e in particolare quella stampata, sia stata assurta, negli ultimi duecento anni, a vero e proprio cane da guardia dei regimi liberali. Così in Israele, dove peraltro la diffusione delle idee, la discussione e il confronto sono sempre stati un elemento fondamentale nella formazione di un’identità politica nazionale. Tradizionalmente, tra le maggiori testate che, nel corso dei quasi sessantacinque anni di vita dello Stato, hanno dominato la scena, si contano “Ha’Aretz” (“la Terra”), decano delle pubblicazioni, nato come periodico nel 1919, poi divenuto quotidiano, e di fatto collocato a sinistra; il “Jerusalem Post”, venuto alla luce nel 1932, durante il mandato britannico e attualmente su posizioni moderatamente conservatrici; lo “Yedioth Ahronoth” (“Le ultime notizie”), le cui pubblicazioni si avviarono nello stesso periodo; il “Maariv” (“Sera”), con un’anima centrista, fondato nel 1948.

La ricchezza dell’offerta di carta stampata, tra quotidiani, settimanali e pubblicazioni periodiche, ha sempre contrassegnato il mercato editoriale ebraico

La ricchezza dell’offerta di carta stampata, tra quotidiani, settimanali e pubblicazioni periodiche, ha quindi sempre contrassegnato il mercato editoriale ebraico, a ricalco della estrema ricchezza di idee. L’impatto delle tecnologie informatiche e del web ha concorso notevolmente a spostare lettori, investimenti e anche opinioni, non diversamente da quanto è avvenuto un po’ in tutto il mondo occidentale. Rimane il fatto che i grandi quotidiani continuano a essere una fonte autorevole, alla quale molti lettori (nonché elettori) si rivolgono per formarsi un’opinione.

La cessione di “Maariv”, per la modica somma di 8 milioni d’euro, all’uomo d’affari Shlomo Ben Zvi, proprietario del trust delle comunicazioni Hirsch Media, così come di “Makor Rishon” (“Risorsa primaria”), un altro quotidiano di cui è anche redattore capo, collocato nell’area del conservatorismo religioso, molto vicino alle posizioni dell’attuale premier Benjamin Netanyahu, sta facendo discutere. Il “Maariv” è oggi la seconda testata in termini di vendite, dopo lo “Yedioth Ahronoth”, e la terza come gradimento del pubblico, se si considera il tabloid gratuito “Israel HaYom” (“Israele oggi”), quest’ultimo, nato nel luglio del 2007, che presenta un formato commerciale e una proposta culturale molto aggressive. Alla lotta senza quartiere per aggiudicarsi nuovi lettori, strappandoli agli avversari, si somma il conflitto politico che soggiace dietro la proprietà delle testate. Il “Maariv” si trova in una difficile situazione debitoria, con un saldo negativo di circa 80 milioni di euro e ben 1.750 dipendenti, tra giornalisti, tecnici e maestranze varie, con un futuro a rischio. Il sospetto, infatti, è che l’acquisizione della testata a un prezzo di svendita stia dentro la logica non del suo rilancio, bensì delle infinite spirali del conflitto, ormai palesato, tra Ben Zvi e il miliardario americano Sheldon Adelson, proprietario di “Israel HaYom”. Cosa che, in soldoni, potrebbe comportare l’affossamento definitivo dello storico quotidiano, da molti visto come una corazzata senza rotta né comandante.

Alla lotta senza quartiere per aggiudicarsi nuovi lettori, strappandoli agli avversari, si somma il conflitto politico che soggiace dietro la proprietà delle testate

Ben Zvi e Adelson si conoscono bene. Sono due tycoon che in passato hanno editato un giornale insieme, per poi separarsi acrimoniosamente. Adelson, il cui ingente patrimonio è legato al gioco d’azzardo, tra Macao e Las Vegas, è conosciuto per le granitiche amicizie con Netanyahu e Mitt Romney. Le voci correnti dicono che il magnate abbia sostenuto la campagna di Romney con ben 100 milioni di dollari. Benché “Israel HaYom” sia molto gradito a una parte dei lettori israeliani, sembra che generi al suo editore un passivo di 3 milioni di dollari al mese. Schlomo Ben Zvi, che abita a Efrat (un insediamento ebraico in Cisgiordania), è ritenuto a sua volta molto vicino alla “lobby dei coloni”, l’insieme di organizzazioni di pressione che rappresenta il circa mezzo milione di israeliani che vivono nei territori palestinesi. Il paradosso, per Ben Zvi, è che condivide le stesse passioni politiche del suo concorrente, al quale vorrebbe strappare il palmarès dei rapporti con Netanyahu, confidando in una sua lunga durata all’esecutivo. In tal senso, quindi, vanno le voci che si pronunciano per una fusione tra l’affaticato “Maariv” (nei cui ranghi si prevedono quasi 1.500 tra prepensionamenti e licenziamenti) e “Makor Rishon”, con l’obiettivo di generare una testata di combattimento contro Adelson.

La battaglia delle idee è sempre più spesso legata a quella dei patrimoni. Che stanno tutti a destra.