Il Dragone e le tangenti dell'acciaio. Una settimana dopo la retromarcia di Google, un altro duro colpo è stato inferto alla fiducia degli investitori stranieri in Cina. La condanna, il 29 marzo 2010, a dieci anni per corruzione e spionaggio industriale del dirigente australiano Stern Hu da parte di una corte cinese ha creato una profonda inquietudine sia nel governo australiano che tra le multinazionali presenti in Cina.Insieme a tre colleghi cinesi, Hu, che dirigeva l’ufficio di Shanghai della Rio Tinto, gigante minerario anglo-australiano, è stato ritenuto colpevole di aver incassato più di 13 milioni di dollari di tangenti dalle industrie cinesi dell’acciaio e di aver sottratto segreti industriali nel corso delle intense, nonché fallimentari, trattative sui prezzi di “iron ore”, materia prima usata nella produzione dell’acciaio. La condanna di Hu, giudicata “molto severa” dal governo australiano, è una delle più dure mai inflitte a un dirigente di così alto rango di una multinazionale straniera in Cina. Mentre non vengono sollevati dubbi sulla colpevolezza di Hu – che ha goduto di una riduzione della pena per essersi dichiarato colpevole – la preoccupazione maggiore deriva dal fatto che la magistratura cinese ha svolto a porte chiuse tutti i procedimenti riguardanti l’accusa di spionaggio, impedendo la partecipazione anche ai diplomatici australiani, in violazione degli accordi tra Pechino e Canberra. Hu è stato arrestato nel luglio scorso con l’accusa di corruzione e di furto di segreti di stato (quest’ultima poi derubricata a spionaggio industriale dopo le proteste australiane e delle compagnie straniere). Vista l’impossibilità di presenziare al processo agli osservatori stranieri rimane, però, la grande incognita di come il governo cinese definisca lo spionaggio industriale. In un caso simile, agli ufficiali americani è stato impedito di seguire il processo del cittadino americano, Xue Feng, geologo detenuto in Cina dal 2007 con l’accusa d’aver rubato segreti di stato nel corso di un negoziato sostenuto per conto del suo datore di lavoro americano.

Questi casi rilevano un cambiamento nell’atteggiamento cinese trent’anni dopo l’inizio di una politica di apertura agli scambi commerciali. Il Primo ministro australiano Kevin Rudd, ex diplomatico che parla in maniera fluente il mandarino e che spesso enfatizza il “rapporto speciale” tra Australia e Cina, ha dichiarato che il processo ha lasciato “domande serie senza una risposta”. Rudd ha aggiunto che la Cina “ha perso un’opportunità per dimostrare al mondo la trasparenza che sarebbe in linea con il suo ruolo sul piano globale”. Ma è proprio questo ruolo che la Cina non vuole compromettere. Leggendo le sentenze relative a Hu e ai suoi tre colleghi, la corte ha dichiarato le condanne “leggere” e ha enfatizzato il danno finanziario che i manager hanno arrecato all’industria cinese. Il giudice Liu Xin ha spiegato che i dirigenti hanno “severamente danneggiato la competitività delle compagnie d’acciaio cinesi” e “isolato” la Cina – la più grande produttrice d’acciaio al mondo – durante le discussioni fallite l’anno scorso per fissare il prezzo di “iron ore”. La decisione della corte sembra un avvertimento volto a segnalare che la Cina è pronta a proteggere le industrie domestiche, inseparabili dagli interessi governativi, anche a costo di mettere a repentaglio gli investimenti stranieri. Pare altresì che le multinazionali straniere non abbiano intenzione di ritirarsi dal mercato cinese a dispetto dei dubbi avanzati sui procedimenti legali e delle dure condanne. La Rio Tinto ha sollecitato il licenziamento dei quattro condannati, definendo “deplorevole” il loro comportamento e sottolineando che la compagnia è impegnata nel mantenimento di un rapporto cordiale con la Cina. Nel frattempo, gli avversari del primo ministro Rudd hanno sfruttato l’occasione per mettere in discussione il suo rapporto privilegiato con Pechino, che è recentemente divenuto il secondo partner commerciale dell’Australia, scalzando gli Stati Uniti.