Non può certo sorprendere la conferma di Luca Zaia quale presidente della regione Veneto. Tuttavia, questa vittoria, per la consistenza numerica assunta, ha il sapore di un trionfo personale. La crisi del “cerchio magico” della Lega non scalfisce la leadership di Luca Zaia, che ha doppiato la principale sfidante, Alessandra Moretti. Si tratta di una doppia vittoria per il candidato del Carroccio, che, oltre ad avere staccato la candidata del Pd di 27 puntipercentuali, è riuscito a rendere elettoralmente innocuo il suo ex compagno di partito Flavio Tosi, uscito in forte polemica dalla Lega Nord a inizio di questa campagna elettorale per la “rottura dei patti” con il segretario federale Matteo Salvini. 

Salvini ha rigenerato e personalizzato la Lega, posizionandola su alcune linee di frattura che polarizzano la società: Europa e immigrazione, temi nei confronti dei quali la Lega mostra un'opposizione netta. Nel contesto di un centrodestra orfano di Bossi e caratterizzato dal declino di Berlusconi, questa strategia “nazionalizza” la Lega e coerentemente Salvini sta giocando la sua partita quale leader nazionale. Tuttavia, in Veneto Zaia riesce a mantenere un profilo autonomo e ad assorbire parte della spinta localista e autonomista, storicamente molto forte in questa porzione d'Italia, conseguendo una vittoria personale importante in tutte le province e toccando addirittura il 60% in quella di Treviso. Questo risultato è stato agevolato anche dall’implosione dell'alleato Forza Italia, che si ferma appena sotto il 6%.

Mentre 15 regioni su 20 restano in mano alla sinistra, la sconfitta del Pd in Veneto è tanto sonora quanto la vittoria della Lega. Rispetto alle elezioni regionali del 2010 il consenso del centrosinistra è calato di 6,6 punti percentuali, passando dal 29,3% al 22,7% con una perdita di ben 235.812 elettori. Si tratta del peggior risultato di sempre per il Pd veneto. Il Pd ha faticato a convincere i suoi stessi elettori ed è stato svantaggiato sia dall'astensione sia dal mancato sfondamento al centro, occupato - almeno in parte - da Flavio Tosi, che è riuscito ad ottenere l’11,9% e a “rubare” al Pd più del 2% (dati Swg).

La lezione per il centrosinistra veneto è chiara: i contesti locali sono carichi di storia e per “cambiare verso” non può bastare l'effetto “alone” del leader nazionale, peraltro oggi un poco appannato. Lo strepitoso risultato delle europee dello scorso anno, alle quali in Veneto il Pd riuscì a raggiungere il 37,5%, non è replicabile in elezioni regionali o amministrative e riposare sugli allori può rivelarsi incauto anche per gli alfieri del “renzismo”. Resta poi tutto da dimostrare l'appeal di un sedicente “partito della nazione” in una regione che, fra quelle a statuto ordinario, mostra i più profilati tratti autonomisti.

Anche per il Movimento 5 Stelle di Jacopo Berti la replica del risultato delle europee resta lontana: con l’11,9% dei consensi e solo circa duecento voti più del sindaco di Verona Flavio Tosi, il candidato pentastellato perde, rispetto alle europee, 8 punti percentuali. Nel caso di Berti, a poco vale il confronto con le Regionali del 2010, quando il M5S era una neo-formazione e conquistava solo il 3,2% dei consensi. Il risultato del M5S in Veneto è peggiore di quello conseguito nelle altre regioni, anche in seguito all'ottima performance della Lega che in questa regione riconquista molti voti persi nel 2013 proprio a favore del Movimento.

Restano esclusi, per il mancato superamento della soglia di sbarramento, gli indipendentisti di Alessio Morosin, nonostante ottengano un +1,9% rispetto ai singoli movimenti simili in corsa alle Regionali del 2010. Ancora una volta gli indipendentisti si rivelano molto efficaci nel far emergere i propri temi nel dibattito politico regionale, ma non riescono a trasformare questa capacità comunicativa in voti, proprio per la consueta capacità della Lega di assorbire le tendenze localiste.

Infine, va ricordato come in Veneto abbia votato solo il 57% degli aventi diritto (-9,2% rispetto al 2010 e -6,7% rispetto alle europee del 2014).  L’astensionismo ha danneggiato un po’ tutti e non ha favorito nettamente nessuno, malgrado i timori di scarsa partecipazione più volte enunciati dal favoritissimo governatore uscente. Nonostante ciò, il Veneto guadagna un nuovo record: quello di regione che registra l’affluenza più alta di questa tornata elettorale.