Dal caro-elettricità al caos politico. Il 20 febbraio scorso Bojko Borisov, primo ministro bulgaro, è stato costretto a dimettersi. Moltissime persone, nei giorni precedenti, avevano protestato contro il raddoppio, rispetto al 2012, delle bollette dell’energia elettrica. Erano migliaia per le strade di Sofia, talmente tanti che se si volesse fare un confronto con il passato dovremmo andare indietro di circa quindici anni. Gli agricoltori avevano minacciato addirittura di marciare con i trattori per le vie della capitale.

Borisov, inizialmente rimasto in silenzio, ha reagito estromettendo dall’incarico il ministro delle Finanze e ordinando di pagare milioni di euro di sussidi agli agricoltori. Il governo è stato poi accusato di immobilismo nei confronti delle società ceche e austriache che regolano la distribuzione dell’energia elettrica, colpevoli di aumentare i costi di gestione e di aver costituito di fatto un monopolio. Le proteste contro il caro-elettricità sono diventate proteste contro l’esecutivo. Il punto di non ritorno è stato raggiunto tra il 18 e il 19 febbraio, quando la polizia ha caricato pesantemente i dimostranti. Al di là delle dirette responsabilità per l’accaduto, Borisov ha dovuto cedere e dimettersi, affermando che il suo partito, il Gerb, non avrebbe partecipato alla composizione del governo provvisorio necessario per traghettare il Paese verso elezioni anticipate, fissate, qualche giorno dopo, per il 12 maggio. Il governo ad interim è stato nominato il 13 marzo dal presidente Rosen Plevneliev. Alla guida c’è Marin Rajkov, con delega anche agli Esteri. Lo affiancano tre vice-premier: Ekaterina Zaharieva, ministro dello Sviluppo regionale, Dejana Kostadinova, ministro del Lavoro, e Ilijana Tsanova, ministro per i fondi Ue; Petja Parvanova è il primo ministro degli Interni donna.

Ma per comprendere quello che è successo e quello che sta accadendo in Bulgaria bisogna tener presente un contesto complesso in cui i sottosistemi interagiscono tra loro e con il tutto attraverso anelli di congiunzione che passano dalla mafia alla politica energetica dell’Ue, per arrivare alle relazioni con la Russia. Prima dell’ingresso nell’Ue (2007) la Bulgaria esportava in Macedonia, Serbia e Grecia il 14% della propria produzione elettrica. Successivamente uno dei prerequisiti per l’ingresso del Paese nell’Unione è stato di chiudere i reattori 3 e 4 della centrale nucleare di Kozloduj che fino ad allora provvedeva al fabbisogno energetico per il 50%. E il referendum di inizio 2013 sul nucleare ha avuto un risultato insoddisfacente. La situazione è arrivata allo stallo. Sia l’Unione europea sia l’amministrazione statunitense vorrebbero che la Bulgaria rinunciasse ai rapporti con la russa Gazprom, e l’Europa ha imposto che il 16% dell’energia provenga da fonti rinnovabili, al momento molto costose. Risultato: la Bulgaria probabilmente sarà costretta a diventare importatore netto di energia, come afferma l’ex ministro socialista dell’Economia Petar Dimitrov. Più che un crocevia di forniture energetiche, la Bulgaria sta diventando il crocevia di conflitti schismogenetici tra Stati Uniti, Russia e un’Europa ancora alle prese con la propria identità.

Non bisogna nemmeno dimenticare che il governo Borisov era stato elogiato da Bruxelles perché in grado di ridurre il deficit di bilancio allo 0,5% del Pil nel 2012 rispetto al 2% nel 2011, ma anche di far registrare modesti tassi di crescita dell'economia del Paese negli ultimi tre anni. Al contempo l’approvazione di una serie di leggi al bilancio avevano stabilito l’innalzamento delle tasse e dell’età pensionabile, licenziamenti e tagli alla spesa e agli stipendi dei dipendenti pubblici. Il rigore europeo tradotto in rigore locale aveva addirittura fatto pensare ai vertici dell’Europa di essere di fronte a un “modello” per l’intera zona orientale del continente. Ma come spesso succede il rigore imposto si scontra con i bisogni e le necessità della popolazione. Infine, la mafia. Dimitar Nikolov Stefanov lavora dal 2009 per la Cze, una delle compagnie energetiche oggetto della protesta della popolazione, ed è uomo di fiducia di Borisov. Stefanov è stato autista e uomo di fiducia di Rumen Nikolov esponente della Sik, organizzazione criminale attiva da circa 20 anni. E lo stesso Borisov ha ammesso la sua “amicizia” con Nikolov. E poi, resi pubblici negli stessi giorni, ci sono i documenti su Borisov (nome in codice Buddha) e i suoi trascorsi come informatore del servizio antimafia (pubblicati in Italia da "L’ Espresso"), e il processo ad Aleksei Petrov, il lottatore mafioso che afferma: “Non mi sorprenderebbe se Buddha diventasse presto mio compagno di cella”.

E i bulgari? Sono alle prese con un pericoloso momento di caos politico, connesso indissolubilmente all’ambiente, alle risorse naturali e ai giochi politici internazionali. Da augurarsi è un rapido sviluppo di una coscienza civile che possa influire sulla politica.