Che cos’è successo dopo le elezioni europee? Partiamo dai dati: 17 seggi disponibili per gli europarlamentari bulgari. Il Gerb di Bojko Borisov ottiene il 30,4% e 6 seggi; la Coalizione per la Bulgaria – il Bsp Partito socialista raggiunge il 18,93% con 4 seggi; il Movimento per i diritti e le libertà (Dps) il 17,27% e 4 seggi; la Coalizione “Bulgaria senza censura” il 10,66% e 2 seggi; infine, la Colazione “Blocco riformatore” il 6,45% e 1 seggio. L’affluenza alle urne è del 35,5%.

Che cosa è successo nel Paese? Il dato più importante riguarda l’attuale governo, che, ricordiamo, è guidato da una fragile intesa tra socialisti, minoranza turca (Dps) e ultranazionalisti di Ataka. Nelle settimane precedenti il voto, molti analisti si erano spesi in discorsi e articoli dicendo che quella per l’Europarlamento sarebbe stata una prova decisiva per la governabilità del Paese. Un po’ com’è stato detto per l’Italia e per la Francia. Sembrano affermazioni ovvie, di “stampo politico”. Quest’ultimo sintagma, in particolare, risuona continuamente nelle trasmissioni politiche di molti Paesi europei. Ma con alcune varianti. È da esperti del settore dire che “sono questioni politiche e risultati politici”, tuttavia bisogna intendersi non solo sulle parole in modo immediato, bensì e soprattutto su quello che si vuole significare. E allora? Allora risultati come quello bulgaro sono indicativi di un contesto che, si voglia o no, è diventato sistemico e così deve essere affrontato se si ha la concreta volontà di creare un’Europa non solo economica ma anche politica, appunto, culturale e identificabile dal punto di vista diplomatico. Ciò che è accaduto in Bulgaria potrebbe, per certi aspetti, essere paragonato a quanto si è verificato in Francia.

La sconfitta dei socialisti è anche la sconfitta dell’attuale presidente del Partito socialista europeo, Sergej Stanisev. Immediatamente, il Gerb e gli appartenenti a Bulgaria senza censura (coalizione della quale non si è ancora ben capito la collocazione futura nell’Europarlamento) hanno chiesto le dimissioni dell’attuale governo nazionale, il quale le ha prontamente respinte. La stessa richiesta è stata avanzata pochi giorni dopo anche da Mestan il leader del Dps.

L’esperienza bulgara, però, apre un altro canale di discussione e confronto. L’Unione Europea, malgrado tutte le incertezze di cui parlavamo poche righe sopra, rappresenta per molti paesi dell’Est un possibile freno alla corruzione, non più sopportabile, delle rispettive classi dirigenti nazionali. E il pensiero corre all’Ucraina. In Bulgaria, poi, l’euroscetticismo è meno marcato che altrove, dato dimostrabile dalla continua diminuzione di fiducia nel partito nazionalista Ataka, mentre nei paesi in cui lo scetticismo è più marcato i partiti di destra vedono salire i propri consensi. E proprio perché la campagna elettorale è stata incentrata soprattutto su temi di politica interna, lasciando in secondo piano quelle riguardanti il futuro dell’UE, che le sorti del governo sono incerte. Inoltre, per quanto riguarda i socialisti bisogna tenere presente che l’elettorato fedele al BSP è in maggioranza filorusso e male ha sopportato l’appoggio di Stanisev all’Unione Europea nella crisi ucraina.

Il contesto politico e sociale bulgaro fa emergere, quindi, delle peculiarità sicuramente locali, ma, al contempo, restituisce una complessità che permette di interpretare la macrosituazione europea. In quest’ottica va intesa anche la percentuale, bassa, di coloro che si sono recati alle urne. Qualche analista potrà credere che il 35% rappresenti uno scetticismo dichiarato verso l’Unione. Probabile, ma non certo. Magari la modesta affluenza alle urne potrebbe significare sfiducia in coloro che non solo governano il Paese, ma che addirittura dovrebbero sedere nel Parlamento europeo.

Che cosa succederà di qui a pochi mesi non lo sappiamo. È probabile, tuttavia, che si possa assistere a un rinvigorimento della protesta sociale che potrebbe portare a elezioni anticipate in autunno. Però siamo vicini all’estate, e la stagione calda spesso raffredda gli animi delle persone. È una ricorrenza comportamentale nota ma rischiosa perché lascia nelle mani di coloro che già sono nel “palazzo del potere” di fare e disfare ciò che è invece diritto dei cittadini criticare e costruire.