La legge di stabilità sta concludendo il suo iter parlamentare. Nonostante le proteste, per ora sembra essere confermato il drastico taglio, da 400 a 100 milioni di euro, del 5 per mille a favore di volontariato e ricerca. Tremonti, in ogni caso, rassicura: i 400 milioni del 5 per mille verranno reintegrati. Rivendicando orgogliosamente la paternità del 5 per mille, lo stesso ministro ricorda l’intervista al «Corriere della Sera» del 9 novembre 2004, dove presentò l’idea, definita «rivoluzionaria, non tanto perché ibrida nuovo e vecchio, filantropia e sussidiarietà, quanto perché rompe il monopolio della politica, trasferendo quote di potere e responsabilità dallo Stato alla società». A sei anni di distanza e a quattro dall’esordio del 5 per mille, il monopolio della politica non sembra, a dire il vero, essere stato molto intaccato, come mostra anche il fatto che altre lobby hanno avuto la meglio nell’accaparrarsi buona parte dei 400 milioni originariamente destinati al 5 per mille.

Pochi conoscono davvero come funziona il 5 per mille. A differenza dell’8 per mille, non è mai entrato a far parte stabilmente del nostro ordinamento e ogni anno è sempre più difficile trovarne un'adeguata copertura. L’anno scorso si fece ricorso allo scudo fiscale; quest’anno si vedrà. Il 5 per mille si attiva solo se scelto dal contribuente - in caso contrario l’Irpef resta allo Stato - e ha un tetto (dal 2007, 400 milioni). Inoltre, non è molto «democratico»: quando si firma l’apposita casella non si esprime una scelta su come destinare il complesso delle risorse, ma si decide di destinare il 5 per mille della propria Irpef a uno dei settori o dei beneficiari interessati (volontariato, ricerca scientifica, ricerca sanitaria, associazioni sportive dilettantistiche, comune di residenza, per iniziative sociali). Tanto più ricco è un contribuente, tanto maggiore, in caso di scelta, sarà il suo contributo. Viceversa chi non ha un Irpef positiva (si tratta di circa 11 milioni di contribuenti per le dichiarazioni 2009) non ha alcuna voce in capitolo.

Il finanziamento del 5 per mille interessa potenzialmente una grande quantità di soggetti (ben 77.015, nel 2008). Ma a parte pochi enti (tra i più noti, che operano nel campo del volontariato e della ricerca) su cui si concentra il grosso dei finanziamenti, il resto è polverizzato fra una miriade di beneficiari: nel 2008, per più del 40% degli aventi diritto gli importi ricevuti non superavano i mille euro o erano addirittura pari a zero. Sempre nel 2008, quasi la metà degli enti previsti negli elenchi dell’agenzia non ha ricevuto alcun finanziamento. In più di 2.500 casi vi è un solo cittadino che destina, a un determinato ente, il proprio 5 per mille. Più di diecimila enti risultano scelti da non più di dieci contribuenti. Le scelte generiche (di area, e non di un singolo beneficiario) sono quasi un quarto del totale. A gettare altre ombre sul meccanismo del 5 per mille concorrono poi i costi di amministrazione, da un lato e, dall’altro, quelli di pubblicità per gli enti interessati, che si trovano a competere su un campo sempre più ampio e affollato, per risorse sempre più scarse.

Andrebbe poi verificato quanto di questa destinazione dell’Irpef si aggiunge, invece di sostituirsi, a finanziamenti pubblici e a donazioni e liberalità che i cittadini avrebbero comunque fatto. Lo Stato si fa da parte e lascia decidere i cittadini e questi potrebbero «mettersi la coscienza a posto», con il 5 per mille, senza sostenere alcun costo, dato che si tratta comunque di Irpef dovuta. Nel caso di detrazioni dall’imposta o deduzioni dall’imponibile, previsti nel nostro ordinamento per finanziamenti a settori interessati anche dal 5 per mille, il cittadino contribuisce invece, insieme allo Stato; e gli enti beneficiari ricevono di più di quanto lo Stato perde di gettito.

Ancor prima dell’obiettivo di reintegrare a 400 milioni il finanziamento del 5 per mille sarebbe allora necessario interrogarsi sull’efficacia e l’efficienza dello strumento stesso, anche in relazione alle altre forme di incentivo già esistenti, per perseguire lo scopo, senz’altro meritevole, di finanziare il non profit e la ricerca, ma in modo coerente e meno estemporaneo.