La crisi dalle Alpi alle Ande. Al pari dell’intero continente latinoamericano, l’Ecuador ha vissuto un radicale processo di trasformazione che lo ha portato nel corso di qualche decennio dal ricevere sul proprio territorio ondate migratorie a essere interessato da una emigrazione di massa.  La prima migrazione dal paese andino risale alla crisi dell’esportazione del sombrero “Panama”, prodotto nella zona. In seguito a ciò, negli anni Cinquanta del Novecento, ha avuto inizio un flusso di emigrazione diretto verso gli Stati Uniti. Successivamente, nella seconda metà degli anni Novanta, si è prodotta in Ecuador una seconda ondata emigratoria di enormi proporzioni. In questo caso, i luoghi di destinazione privilegiati sono stati la Spagna (in cui oggi gli ecuadoriani rappresentano numericamente la terza nazionalità presente nel paese) e, secondariamente, l’Italia. Uno degli elementi che permette di misurare il legame tra gli immigrati ecuadoriani e la terra di origine è l’enorme afflusso di rimesse dirette verso il paese andino. Si calcola che il 14% della popolazione ecuadoriana adulta, cioè un milione di persone, riceva rimesse dai familiari all’estero. Il flusso ha conosciuto una crescita esponenziale in coincidenza della seconda ondata migratoria. Tra il 1990 e il 2000 l’ammontare delle rimesse è divenuto la seconda fonte di entrata (era la sesta, nel 1990) dopo il petrolio. In quel periodo, il denaro che è affluito in Ecuador grazie alle esportazioni di banane, gamberi, caffè e cacao (cioè 1.216,4 milioni di dollari) non ha superato il totale delle rimesse. Attualmente, secondo i dati pubblicati dal Banco Central de Ecuador, le rimesse che quotidianamente gli immigrati in Europa e in Nord America fanno affluire verso il paese andino sono in decrescita.

Tra aprile e giugno 2010 il flusso (556,6 milioni di dollari) è calato dell’8,7% rispetto al secondo trimestre del 2009 (609,7 milioni di dollari). Le ragioni possono essere molteplici, ma tra esse si distingue l’effetto della crisi economica europea e nord-americana e la sua ripercussione nei territori latinoamericani. La Spagna è, nell’area euro, uno dei paesi più colpiti dalla crisi e nel corso del secondo trimestre del 2010 il suo Pil è cresciuto appena dello 0,2%. In particolare il settore dell’edilizia, che impiegava un numero notevole di ecuadoriani come muratori, è in notevole sofferenza (-20%). A conferma di ciò, L’Instituto Nacional de Estadística afferma che, dal terzo trimestre del 2008, anno d’inizio della crisi, la disoccupazione tra gli spagnoli è cresciuta di 10,2 punti percentuali, mentre tra gli immigrati in Spagna l’aumento è stato di 17,5 punti percentuali. Ecco la probabile spiegazione della sensibile riduzione degli invii di rimesse alle famiglie rimaste in Ecuador.  La stessa relazione di dipendenza, ovviamente, vale nei confronti dell’economia statunitense, le cui oscillazioni hanno evidentemente un impatto notevole sulle rimesse. Tra aprile e giugno dagli Stati Uniti sono stati inviati in Ecuador 283,2 mln di dollari in rimesse (51,5% del totale); dalla Spagna 197,4 mln di dollari (35,9% del totale); dall’Italia 36,6 mln di dollari (6,7% del totale). L’impatto che il flusso di denaro ha avuto nei territori di origine è notevole. Per esempio, nel dicembre 2002, lo stipendio minimo familiare, calcolato dall’Instituto Nacional de Estadistica y Censo de Ecuador, si aggirava attorno a 221 dollari al mese. Il paniere basico della famiglia ecuadoriana, per lo stesso periodo, era di 353 dollari. In sostanza ciò significa che essa poteva accedere unicamente al 63% del paniere basico. Appare evidente come le famiglie che hanno ricevuto rimesse dall’estero abbiano potuto teoricamente elevare il loro consumo fino a coprire il costo del paniere. Ciò che succederà ora con il crollo degli invii per effetto della crisi economica mondiale e le sue ricadute sui settori più poveri nei vari angoli del pianeta riusciamo solo a intravederlo, probabilmente occorrerà molto tempo per riuscire a misurarne la portata globale.