Diceva Leopoldo Elia che le leggi elettorali sono la cerniera di connessione fra il sistema costituzionale e il sistema politico di un Paese. Lo pensava sostanzialmente anche il suo maestro Costantino Mortati, che in Costituente aveva proposto la menzione nella Carta del principio di un sistema elettorale proporzionalistico che allora gli pareva fondativo per il nuovo orizzonte di una Repubblica basata sulla partecipazione attraverso i partiti. Più o meno esplicitamente, e più o meno consapevolmente, è quello che pensano gran parte degli studiosi e dei politici che debbono occuparsi della connessione fra sistema costituzionale e sistema politico.

Chissà se lo pensano anche i cosiddetti «psefologi», nome forbito e poco usato, che indica gli studiosi che analizzano i comportamenti elettorali e discettano sui sistemi per disciplinarli. A volte sembra si sia perso il senso del problema, perché tutto viene ridotto a una valutazione astratta di quale meccanismo sia migliore per tradurre i voti in seggi. Intendiamoci però sulla «valutazione astratta». Non significa affatto che si ragioni a prescindere dal chi trarrà vantaggio da un certo sistema e dal come si può piegare quest’ultimo per raggiungere un certo risultato. Si tratta più semplicemente di prendere coscienza che mentre è una leggenda quella che vorrebbe l’adozione di un sistema fatta a prescindere dalla previsione del suo esito (sarebbe pretendere troppo dalla natura umana), non si tiene alcun conto del senso e del significato che assumono le tecniche elettorali in un determinato contesto. Perché la legge elettorale è, o dovrebbe essere, uno strumento di educazione dei cittadini al significato della democrazia partecipativa, che è altra cosa dal mito del vox populi vox Dei.

In definitiva si dovrebbe sapere che la competizione elettorale non è un gioco inventato per misurare le abilità dei concorrenti, né un meccanismo per produrre un certo tipo di distribuzione dei pesi fra le forze politiche di un Paese: è invece un sistema per dare rappresentazione a una comunità politica che deve al tempo stesso riconoscersi come tale grazie a esso, e per produrre un equilibrio che le consenta di avere un sistema di governo in grado di affrontare le sfide con cui è costretta a misurarsi.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 6/16, pp. 936-945, è acquistabile qui]