Una democrazia perfetta non esiste e non è mai esistita. A tutte le democrazie manca sempre qualcosa e ogni democrazia ha i suoi deficit. Tuttavia nulla vieta di cercare la perfezione nelle democrazie al contempo criticando, come ha fatto Giovanni Sartori, i perfezionisti. Su una linea non dissimile si situano anche le molte promesse non mantenute della democrazia che forse – Bobbio torna realista – non si potevano mantenere. Tuttavia, una promessa le democrazie realmente esistenti mantengono sempre. Cercano di porre rimedio ai deficit di funzionamento che si presentano di volta in volta. Mostrano capacità di autoriforma. Sono regimi che imparano e traducono le lezioni in pratiche. Però, come gli esami, anche i «deficit democratici» non finiscono mai. Cambiano i tempi, arrivano nuovi protagonisti, fanno la loro comparsa sfide dei più vari tipi. Subito, insieme a eventuali miglioramenti, ne seguono anche deficit, più o meno imprevisti e imprevedibili. Poi, appaiono tentativi di soluzione coronati da qualche successo talvolta parziale talvolta pieno: deficit risolti a metà. Domani è un altro giorno anche per le democrazie reali, forse persino per la democrazia ideale.

In contemporanea, naturalmente, sempre pensosamente insoddisfatti, orgogliosamente indignati, superficialmente informati, i nouveaux pundits non hanno dubbi. Da tutti gli schermi televisivi ai quali hanno frequente accesso, ma anche in streaming e su Twitter, dichiarano: è la crisi della democrazia. Altrove ho suggerito, ma mai abbastanza spesso, di distinguere fra la crisi della democrazia e le crisi (i problemi) nelle democrazie. Aspirante pundit, temo di non avere (ancora) avuto (il meritato) successo. Allora, ricomincio quasi da capo facendomi forte dell’insegnamento di due studiosi della democrazia che sono stati miei (ovviamente nient’affatto solo miei) maestri, Norberto Bobbio e Giovanni Sartori, del quale mi affretto a citare una frase fulminante: «La crisi della democrazia è magnificamente aiutata dall’inconsistenza del sapere che la dovrebbe capire e far capire». Ovvero, qualche volta, i deficit democratici stanno, come la bellezza, negli occhi di chi guarda.

Come gli esami, anche i «deficit democratici» non finiscono mai. Da Bobbio e da Sartori ho imparato che c’è sempre una distanza fra la democrazia ideale e le democrazie realmente esistenti e che esistono molte promesse non mantenute della democrazia. Sia la distanza sia le promesse possono rivelarsi molto feconde per il pensiero e per l’azione dei democratici. Da entrambi questi giganti del pensiero ho avuto non soltanto una lezione di realismo, ma anche il chiaro invito a esplorare e discutere le promesse della democrazia, le sue variazioni nel tempo, le modalità con le quali le democrazie effettivamente funzionano e si trasformano, le loro più o meno inevitabili carenze. Ho anche imparato che bisogna essere approfonditamente documentati sul tema che si affronta, partire da concettualizzazioni precise e procedere a ogni passo alle opportune distinzioni e specificazioni. Invece, da più di vent’anni, discutere di democrazia è diventato, non soltanto in Italia, un’impresa alla Sisifo (e per fortuna che Camus scrisse che «bisogna immaginarsi Sisifo felice»: io non riesco proprio a esserlo). Sembra non esistere una base comune di conoscenze dalla quale fare iniziare una riflessione sui problemi generali e specifici della democrazia in quanto tale e dei sistemi politici democratici realmente esistenti. Addirittura, si nota nel dibattito pubblico una vera e propria regressione, spesso frutto di manipolazione più o meno consapevole, direi meno poiché i manipolatori già in partenza non conoscono abbastanza l’argomento. Il test chiave è facile: chiedere loro quale libro, almeno uno, hanno letto sulla democrazia.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 3/18, pp. 375-391, è acquistabile qui]