Violenza o lavoro? Atto di libertà o sottomissione al potere? Non c’è forse questione più aspramente dibattuta, né più divisiva e polarizzante, della domanda su che cos’è e come dobbiamo trattare la prostituzione. Nella ricerca di risposte politiche si costruiscono alleanze inedite, come quelle tra femminismo radicale e gruppi cristiani conservatori, o tra sigle liberali e militanti femministe marxiste. Mentre i compagni di partito si dividono, a destra e sinistra, schierandosi chi per la totale abolizione e chi per la regolamentazione.

Ciò che chiamiamo «prostituzione» in realtà non è semplice da definire in teoria né da identificare in pratica. Normalmente con questo termine ci si riferisce allo scambio esplicito di prestazioni o servizi sessuali per denaro o altri beni. Ma questa formula può rivelarsi una coperta troppo corta, o troppo ampia. È prostituzione, per esempio, «tenere compagnia» a un turista per un tempo indefinito, ricevendo in cambio regali di varia natura? Non sempre in questi casi il «contratto» è esplicito. Oppure: è prostituzione quella delle cam-girls, l’interazione live attraverso lo schermo del computer? E la telefonia erotica? E l’«assistenza sessuale» alle persone disabili? Non sono domande puramente accademiche; anche la politica e il diritto si misurano con le definizioni. Contro il riconoscimento della figura dell’assistente sessuale, in Italia, si obietta che sarebbe prostituzione legalizzata. Inoltre, la Corte di Cassazione ha affermato che non occorre ci sia contatto fisico tra i soggetti della prestazione sessuale affinché si dia prostituzione, e nemmeno che i soggetti si trovino nello stesso luogo, ma solo che un determinato atto sia prestato dietro pagamento di un corrispettivo: sono incluse perciò le performance sessuali via Internet.

Potremmo chiederci poi: che cos’hanno in comune una escort da 1.000 euro a notte e una giovane migrante che, per mandare i soldi alla famiglia nel Paese d’origine, offre i suoi servizi sulla strada a poco più di 10 euro? In che senso entrambe sono definite «prostitute»? Qualcuno risponderebbe che entrambe si trovano nella condizione oppressiva di offrire il proprio corpo per denaro. Qualcun altro, invece, che la loro situazione è quella di essere soggette allo stesso stigma sociale. Ma sappiamo che né l’una né l’altra caratteristica si applica in modo identifico alle due figure.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 4/17, pp. 588-596, è acquistabile qui]