Cominciamo dai numeri. Hanno votato in 60.900. Grosso modo 6.000 in meno dell’ultima volta. La flessione si deve probabilmente al fatto che il centrosinistra, almeno per il momento, sembra non avere un avversario credibile. Le primarie 2016 non sono state un gesto «militante» per gli elettori più avversi al centrodestra. Le previsioni della vigilia sono confermate con la vittoria del favorito, Beppe Sala, che ha avuto il 42,98% dei voti (20.650).

Ma l’ex amministratore delegato di Expo non stravince. Soprattutto tenendo conto del fatto che, oltre al prestigio professionale e alla notorietà dovuta alla manifestazione di cui è stato responsabile, poteva contare sul sostegno di buona parte del gruppo dirigente locale del Partito democratico. Seconda è arrivata Francesca Balzani al 34% (16.720 voti). Terzo Pierfrancesco Majorino, con il 23% (11.522 voti). Ultimo Antonio Iannetta, con l’1% (361 voti). Senza dubbio notevole il risultato di Balzani, tenendo conto che si era candidata per ultima, da poco più di un mese e, diversamente da Sala e Majorino, senza poter contare su una rete operativa sul campo.

Già nella serata di ieri è stato fatto notare che i voti di Balzani e di Majorino, sommati, superano ampiamente il 50%: sarebbero dunque stati sufficienti per battere Sala. In realtà, l’addizione in questo caso non si può fare: ci sono elettori di Majorino che non avrebbero votato per Balzani, e viceversa. Tuttavia, il fatto che più del 50% dei votanti non si sia espresso a favore del candidato (tacitamente) approvato da Renzi e (esplicitamente) sostenuto da tutti i renziani dovrebbe far riflettere. Al di là dei numeri, due caratteristiche di queste primarie sono da segnalare.

La prima è che il confronto si è svolto in modo ordinato, sereno e sostanzialmente costruttivo, fino all’ultimo minuto. Ciascuno dei candidati ha fatto le proprie proposte e le ha difese. Criticando gli avversari, ma senza eccedere nei toni, ed evitando di usare argomenti ad hominem, anche quando poteva essere vantaggioso farlo. La questione del bilancio complessivo di Expo, e in particolare dei suoi conti, è stata evocata da Balzani e da Majorino – come era legittimo aspettarsi, visto che aveva a che fare con il principale capitale politico rivendicato da Sala – ma nessuno ha sollevato dubbi sull’onorabilità del manager, o ha sottolineato più di tanto il suo passato come collaboratore di Letizia Moratti. Inoltre, c’è stata un’evoluzione positiva dei due candidati che in partenza apparivano meno “politici”. Sia Sala sia Balzani sono riusciti a proporre un’immagine più disinvolta – meno manageriale lui, meno da esperta di conti pubblici lei – che ha mutato in meglio la percezione del pubblico.

Resta poi il problema delle regole, anche in primarie di successo come si confermano quelle milanesi. La scelta di consentire il voto a tutti i cittadini residenti segue una prassi inaugurata dal Pd. Se ne comprendono le motivazioni, ma c’è stato e c’è, da parte del gruppo dirigente del partito, il rifiuto di prenderne in considerazione le controindicazioni, facilmente intuibili. Si è scelto di difendere in modo ideologico l’idea di un partito aperto e “scalabile” – che in certi contesti vuol dire “comprabile”.

In questo vuoto normativo si sono inserite le ridicole polemiche sugli elettori cinesi. In una città che da decenni ospita una consistente e operosa comunità di cittadini di origine cinese è normale e giusto che una parte di essi prendano parte alle primarie per eleggere il candidato del centrosinistra. L’analisi di questa parte del voto, nella misura in cui sarà possibile, potrebbe fornire elementi di valutazione preziosi. Specie per quel che riguarda le motivazioni del consenso espresso per i diversi candidati. 

In conclusione, da queste primarie si può ricavare una prima valutazione politica. Scegliendo di adottare Sala come candidato del Pd, Matteo Renzi non ha semplicemente assecondato una comprensibile tendenza a “vincere facile”. Ha anche scommesso sull’opportunità che una vittoria dell’ex amministratore delegato di Expo mettesse una pietra tombale sull’unico esperimento di successo di centrosinistra allargato verso sinistra, che non respinge i voti moderati, ma non li corteggia in modo sfacciato. Le percentuali suggeriscono che la maggioranza degli elettori più motivati del centrosinistra milanese non vede con favore questa prospettiva. A questo punto la parola passa a Beppe Sala.