La falsità della falsa coscienza. Non sempre le persone si comportano come riteniamo dovrebbero comportarsi. Spesso abbiamo l’impressione che il comportamento degli altri vada contro il loro interesse individuale. Percepiamo tutto ciò come qualcosa di folle, di insensato, e li accusiamo di «falsa coscienza».

Il concetto fu coniato da Friedrich Engels nel tardo Ottocento, al fine di spiegare perché i lavoratori (o per lo meno certi lavoratori) non sostenessero i propri partiti alle elezioni o non aderissero agli scioperi indetti dai sindacati. Secondo Engels, la risposta era che, per qualche ragione, essi fraintendevano il senso dell’interesse personale, e diventavano quindi vittime di una «falsa coscienza».

Si prospettava un duplice rimedio: chi avesse conseguito un livello idoneo di «coscienza di classe» doveva educare coloro che ne erano carenti. Nel contempo, questi ultimi dovevano partecipare il più possibile alle azioni politiche imposte dagli individui e dalle organizzazioni provvisti di coscienza di classe. 

Una soluzione del genere presentava due vantaggi: in primo luogo, legittimava qualunque azione intrapresa dalle organizzazioni dotate di coscienza di classe. In secondo luogo, permetteva loro di trattare con sussiego chi veniva tacciato di «falsa coscienza».

La nozione di «falsa coscienza», benché ormai in disuso, e il rimedio che a essa si accompagna trovano un parallelo nel modo in cui oggi i professionisti ben istruiti tendono a considerare il comportamento delle persone a più bassa scolarità. Un ampio numero di lavoratori americani, ad esempio, appoggia Donald Trump e le cosiddette organizzazioni di estrema destra (così come, in altri Paesi, gruppi di cittadini appoggiano figure analoghe a Trump), e parecchi oppositori a Trump vedono nel supporto dato al presidente degli Stati Uniti da queste persone, di estrazione sociale inferiore, il segno di un’irrazionale incapacità di accorgersi che, appoggiando Trump, non agiscono nel proprio interesse.

Anche il rimedio è simile, in quanto il fronte anti-Trump mira a educare chi erroneamente lo sostiene. I detrattori di Trump, inoltre, continuano a imporre la loro soluzione in merito alle questioni politiche contemporanee, ignorando il fatto che, tra le fasce più povere della popolazione, possono contare soltanto su un’esigua base di sostenitori. Il malcelato disprezzo verso gli strati più poveri e a loro giudizio malaccorti della società li rafforza nella convinzione di battersi per la giusta causa. A differenza degli altri, essi non hanno una falsa coscienza.

Loro sì che hanno capito qual è il vero programma di Trump. Sanno che va contro gli interessi di tutti, salvo quelli di una sparuta minoranza, pari a circa l’1% della popolazione. Paul Krugman si fa regolarmente portavoce di questa posizione nei suoi editoriali per il «New York Times». Dietro la maldestra affermazione di Hillary Clinton, secondo cui la metà dei sostenitori di Trump sarebbe «un branco di miserabili», si nascondono sentimenti affini.

Non è mai di aiuto a nessuno analizzare il mondo reale presupponendo che gli altri non agiscano nel proprio interesse. Assai più utile è tentare di capire sotto quali spinte gli altri credono di agire nel proprio interesse. Perché i lavoratori votano per partiti di (estrema) destra? Perché quelle persone la cui qualità della vita è andata calando, o che abitano in aree rurali dove le infrastrutture scarseggiano, appoggiano un uomo e un programma che si fonda sull’abbassamento delle tasse per i ricchi e sulla riduzione delle reti di sicurezza, il tutto a loro discapito?

Se si leggono i loro commenti sul web o le dichiarazioni che rilasciano ai giornalisti, la risposta, pur nella sua complessità, appare chiara. Sono consapevoli di non aver navigato in buone acque, in termini di reddito e benefici, negli ultimi vent’anni, quando al governo si sono avvicendati presidenti dell’establishment tradizionale. Affermano di non vedere perché mai, adottando le precedenti politiche, la loro situazione dovrebbe migliorare. Pensano che non sia irragionevole sperare di trarre giovamento da un candidato che promette di governare in modo del tutto diverso. È un’ipotesi così peregrina?

Essi credono che le blande istanze redistributive promesse dai precedenti regimi non abbiano garantito loro alcun beneficio. E quando quegli stessi regimi si vantano (con enfasi francamente eccessiva) di aver favorito il progresso sociale, contribuendo a una migliore integrazione delle «minoranze» nei programmi governativi o facilitando il loro accesso ai diritti sociali, non riesce difficile comprendere perché quelle stesse persone finiscano per collegare la redistribuzione alle minoranze, e di conseguenza concludano che le condizioni degli altri stiano progredendo a loro spese. Ad avviso mio e della maggior parte degli oppositori a Trump, si tratta di una deduzione quanto mai sbagliata. Ma è preferibile credere che Hillary Clinton li avrebbe favoriti maggiormente?

Quel che più conta è che Trump ha dato loro ascolto, o per lo meno ha finto di farlo. Hillary Clinton, invece, li ha trattati con disprezzo. Non intendo qui discutere quali politiche sociali oggi la sinistra dovrebbe mettere in campo, o avrebbe dovuto propugnare nella scorsa campagna elettorale. Sto solo suggerendo che parlare di falsa coscienza significa negare l’evidenza che ognuno di noi persegue il proprio tornaconto, compresi i «miserabili». Non abbiamo il diritto di guardare gli altri dall’alto in basso. Dobbiamo sforzarci di capire. Comprendere le motivazioni altrui non equivale a legittimarle, e nemmeno a negoziare con queste persone. Vuol dire che dobbiamo perseguire la trasformazione sociale in modo realistico, senza incolpare gli altri perché non ci hanno sostenuto, o accusandoli di aver commesso errori di giudizio.

 

[Copyright © 2017 Immanuel Wallerstein, used by permission of Agence Global. Traduzione di Andrea Asioli]