Nel settembre del 1921 il trentenne Michail Bulgakov giunge a Mosca. Ha da poco deciso di accantonare la professione di medico, per cui aveva studiato nella natia Kiev, e dedicarsi alla scrittura. Arriva nella capitale del neonato Stato sovietico in un periodo particolare e drammatico, dopo anni di guerra mondiale e, soprattutto, civile seguiti all’Ottobre. “Il Paese versava in una situazione catastrofica, aveva registrato gli indici economici più bassi degli ultimi anni e si apprestava ad avviare il piano della nuova politica economica (Nep)”, sottolinea la traduttrice nella prefazione di Mosca dalle mille e mille cupole, Elisa Baglioni, uscito questa primavera per l’editore Passigli.

L’autore, con il suo inconfondibile tocco ironico, a tratti caustico, non risparmia affatto se stesso

In questa piccola raccolta di feuilleton pubblicati su “Nakanune” (“Alla vigilia”) tra il 1922 e il 1924, Michail Bulgakov ci accompagna per la Mosca di un secolo fa descrivendoci la vita degli spazi esterni e interni della capitale con il suo inconfondibile tocco ironico, a tratti caustico, che non risparmia affatto se stesso: mentre si guadagnava da vivere con occupazioni “fantasiose e passeggere”, la notte componeva “allegri trafiletti che io per primo reputavo spassosi quanto un mal di denti” (p. 70). Tanto meno risparmia i colleghi scrittori e poeti:

“Ero stufo di frequentare gli scrittori. […] Arrivi e ti invitano ad accomodarti su una cassa da cui spuntano chiodi arrugginiti, oppure non c’è il tè, o il tè c’è ma lo zucchero no, o ancora nella stanza accanto la padrona dell’appartamento sta distillando della vodka fatta in casa e di là sgusciano certi individui con le facce gonfie, mentre stai sulle spine, perché hai paura che vengano ad arrestare quelli gonfi e acchiappino anche te; o (è la cosa peggiore) dei giovani poeti cominciano a leggere le loro poesie. Uno di fila all’altro… in sostanza, è un clima insostenibile” (pp. 33-34).

Gli spazi descritti in questi feuilleton ritorneranno poi in molti dei testi futuri di Bulgakov, diversi dei quali – com’è noto – scritti per il cassetto (il capolavoro Il maestro e Margherita compreso); si trovano dunque già qui in nuce le coordinate spaziali di quello che sarà l’universo letterario moscovita bulgakoviano. Vista la profonda evoluzione che la città di Mosca ha vissuto nel corso di un secolo, sono di notevole aiuto le note al testo della traduttrice che ricostruiscono la mappa urbana della città.

Michail Bulgakov restituisce in questi feuilleton le sue prime impressioni su Mosca e i suoi abitanti, tra i quali emerge in primo luogo la figura, decisamente mal sopportata dallo scrittore, del nepman:

“Con la Nep ricominciò a circolare la merce e si ottenne la ripresa industriale e agricola grazie ad alcuni liberalizzazioni che determinarono la creazione di un nuovo tipo sociale, la fusione di un proletario e di un borghese: il nepman. Entro limiti consentiti e controllati, l’uomo e la donna della Nep sono mercanti con una propria attività privata” (dalla prefazione di Elisa Baglioni).

Sull’ostentazione e il cattivo gusto del nepman Bulgakov costruisce simpatiche vignette letterarie, sfruttando tutta la libertà di espressione che in questi primi anni Venti è concessa agli artisti e agli scrittori sovietici e che già a partire dal 1924 verrà meno.

Sull’ostentazione e il cattivo gusto del nepman Bulgakov costruisce simpatiche vignette letterarie, sfruttando tutta la libertà di espressione che in questi primi anni Venti è concessa agli artisti e agli scrittori sovietici

Altrettante descrizioni sarcastiche riceverà la forzata vita in coabitazione nelle kommunal’ki, dato che “a Mosca non ci sono appartamenti. E allora come si fa a viverci? A viverci ci si vive. Senza appartamenti” (p. 72). Anche per abitudini come quella di masticare semi di girasole lo scrittore non tralascia un ironico commento:

“Per me il suddetto Paradiso arriverà nell’istante preciso in cui a Mosca scompariranno i semi di girasole. […] Temo che il mio pensiero risulterà bislacco e incomprensibile ai raffinati europei, poiché mi spingo a dire che con la cacciata dei semini la mia fede nei treni elettrici (150 km all’ora), nell’alfabetizzazione universale e in tutte le cose che rappresentano senza dubbio il Paradiso diventerà incondizionata. […] Bisogna cacciarli, i semini. Cacciarli e basta. In caso contrario costruiremo sì il treno elettrico rapido ma le Dun’ke sputeranno le bucce negli ingranaggi e il treno si fermerà, e andrà tutto in malora”.

Bulgakov frequenta inoltre uno dei grandi eventi del tempo, la prima Esposizione panrussa dell’agricoltura, dell’industria e dell’artigianato, inaugurata nell’agosto del 1923 in quello che oggi è il parco Gor’kij. Qui assiste a quello che potremmo definire uno spot pubblicitario ante litteram, impersonato da marionette: la scena vede un tentato raggiro da parte di un commerciante (il “riccone”) ai danni di un contadino, se non che

“a quel punto compare Petruška, socio di una cooperativa, con il naso lungo e un berretto verde; in men che non si dica Petruška smaschera gli inganni del riccone, mette in piedi una cooperativa di consumo e inonda il contadino di merce. Il commerciante sconfitto si accascia su un fianco, mentre Petruška insieme al contadino comincia una danza folle e gioiosa, ed entrambi intonano un canto vittorioso: ‘Cooperativa! Cooperativa! Tu sei della nazione la forza viva!’” (p. 113).

Superando la distanza che separa oggi da Mosca, Michail Bulgakov riaccompagna il lettore per questa sua città allora come oggi in un momento drammatico della storia.

 

[Questo articolo è pubblicato anche su Meridiano 13].