L'ombra del padre. Quando fece il suo clamoroso ingresso nella politica francese alle elezioni europee del 1984 (10,9% e 10 deputati eletti), il Front National (Fn) si inseriva nella tradizione della destra antirepubblicana, xenofoba e protestataria, ma sfruttava anche una triplice contingenza socio-economica e politica. Il voto frontista catalizzava le ansie e le paure di una classe media e popolare che, da un decennio, aveva visto tramontare i Trente glorieuses e raccoglieva i timori nei confronti dell’immigrazione e del crescente tasso di disoccupazione. Secondo fattore era la crisi di identità vissuta da un Paese confrontato ai nuovi flussi migratori, almeno quanto all’approfondimento del processo di integrazione europea. Infine il Fn si presentava come forza antisistema e anti-elitaria contro lo “Stato Rpr” (incarnato da Chirac) e lo strapotere del socialismo mitterrandiano. A quasi un trentennio di distanza, osservando la campagna elettorale di Marine Le Pen, figlia del Jean-Marie che nel 1972 fondò il Fn, viene da dire che non solo il Front è una costante del panorama politico francese, ma anche che quelle issues sono ancora attuali o perlomeno così sono percepite da una quota importante dell’elettorato francese.

La vicenda elettorale del Fn ha attraversato una fase “eroica”, coincisa con gli anni Novanta e coronata dalla clamorosa eliminazione del candidato socialista Jospin alle presidenziali del 2002, e una successiva contrazione sino a giungere ai minimi storici alle presidenziali 2007 (10,44%), alle successive legislative (4,3% e nessun seggio) e alle europee 2009 (6,3%). In parte dovuto alla capacità di Sarkozy di fare proprie molte parole d’ordine del Fn, in parte legato al declino dell’ultraottantenne storico fondatore, il rilancio del Fn è coinciso con la nuova leadership di Marine Le Pen e ha avuto conferma alle elezioni cantonali del marzo 2011. Nell’ultimo voto prima delle presidenziali il Fn ha ottenuto il 15% dei suffragi su scala nazionale (e il 19% in quelli dove presentava candidati), ma soprattutto è parso di nuovo in sintonia con il suo elettorato tradizionale. Il Fn è ricomparso con forza in quella parte di Paese a est della linea ideale che unisce Le Havre (Normandia) e Perpignan (Pirenei Atlantici).

La sociologia elettorale fa emergere le continuità tra le origini e oggi. Il Fn miete successi nelle aree de-industrializzate, che stanno vivendo con più difficoltà la crisi e dove l’integrazione degli immigrati è più conflittuale. Basta osservare i tre dipartimenti dove maggiore è stato l’aumento in percentuale per il Fn: Moselle, Gard e Pas-de-Calais. Marine Le Pen è ripartita da qui e ha costruito la sua corsa elettorale, senza dimenticare un tocco di maquillage fornito da un’immagine molto più “presentabile” rispetto a quella del padre e dalla nomina a responsabile della propria campagna del giovane enarca Florian Philippot.

La figlia del fondatore ha deciso di scommettere sul Paese che più sta pagando la crisi economica e che ne teme le ricadute future (il 79% dei francesi si sente nel pieno della crisi, il 17% si dice certo che Parigi farà la fine di Atene e il 32% ritiene probabile una deriva alla greca). Ecco allora Marine Le Pen tuonare contro il “fascismo verde” (islamismo radicale) e il “fascismo dorato” (finanza mondiale e monopoli industriali) e presentarsi come unico candidato veramente anti-sistema, pronta a contrastare l’establishment rappresentato dalla coppia Hollande-Sarkozy, ma anche i “finti” outsider Bayrou e Mélenchon. Infine il tentativo di fare appello alla Francia del “no” al Trattato costituzionale europeo del 2005, proponendo l’uscita di Parigi dalla moneta unica. Se su questo punto Marine Le Pen non sembra in grande sintonia con l’elettorato (8 francesi su 10 vogliono mantenere l’euro) e nemmeno con quello frontista (1 su 2 non vuole abbandonare la moneta unica), la candidata del Fn sembra attrarre, con richiami populisti e demagogici, l’elettorato giovane. Secondo un recente sondaggio sarebbe addirittura in testa nelle intenzioni di voto dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni, con il 26%, davanti a Hollande (25%) e Sarkozy (19%).

A meno di una settimana dal primo turno Marine Le Pen deve guardarsi le spalle per difendere la terza posizione, dato che, nonostante il 16% attribuitole dai sondaggi, è tallonata dal candidato del Front de gauche, Mélenchon. Se questa previsione dovesse essere confermata si tratterebbe comunque di un risultato di grande rilievo, molto vicino a quello con cui il padre riuscì ad accedere allo “storico” secondo turno del 2002. Ma soprattutto certificherebbe l’incapacità di Sarkozy di ripetere l’operazione del 2007, quando aveva lasciato Le Pen al 10,4% e si era garantito una buona percentuale di voto frontista sin dal primo turno. La crisi e il bilancio dei cinque anni all’Eliseo possono far prevedere che un ottimo risultato di Marine Le Pen al primo turno significhi la perdita della presidenza per la destra repubblicana post-gollista.