L’appuntamento, come scritto nella mail inviata il 9 giugno dalla Direzione Risorse Umane e Organizzazione della Rai, è tassativamente alle 10 e 30: “La Sua assenza o il Suo ritardo rispetto all’orario sopra stabilito saranno considerati rinuncia alla selezione”. Una mail arrivata all’improvviso, che in pochi ormai si aspettavano.

Non sono nemmeno le 8 e 30 e già a decine i candidati e le candidate del “Concorso Rai” si rintananonegli scampoli d’ombra che alcuni cipressi ritagliano sul piazzale di asfalto e cemento di fronte ai padiglioni di Umbrafiere. Attorno a loro, fervono i preparativi: gli addetti della Selexi, l’azienda che ha ottenuto dalla Rai l’incarico di organizzare il concorso, predispongono le ultime cose.

La speranza di approdare tra le braccia di “mamma Rai” – almeno per un triennio, con un contratto a tempo determinato – ha convinto oltre 2.900 giornalisti professionisti a esserci. C’è chi arriva solo, chi in gruppo, chi accompagnato da parenti e amici, chi scendendo dal bus che fa la spola dalla stazione ferroviaria. Qualcuno è partito all’alba da un posto a centinaia di chilometri; qualcun altro invece, pur venendo da lontano, ha passato la notte in uno dei paesi limitrofi. La maggior parte ha tra i 30 e i 50 anni, ma non mancano i giovanissimi, ventenni freschi di scuola, e qualche ultra sessantenne. La speranza di entrare in Rai non ha età.

Si ripassa rileggendo gli appunti, si fuma l’ennesima sigaretta, si salutano amici e colleghi con i quali non ci s’incontrava da tempo. C’è chi lavorava in una televisione locale, “poi è fallita e ho fatto altro”; chi ci lavora ancora, “ci provo perché metti che vada bene: sarei a posto”. C’è chi fa radio e chi scrive tutti i giorni per testate nazionali come collaboratore pagato a pezzo; chi è tornato apposta dall’Iran, da dove collabora come corrispondente per emittenti italiane, e chi lavora dall’Italia per alcune testate inglesi. Chi è addetto stampa di un’importante fiera del Nord Italia e chi era nell’ufficio stampa di una Provincia: ma ora che la Provincia è morta il contratto è stato stracciato. C’è, infine, chi già collabora da tempo con alcune testate della Rai, ma non hai mai visto un contratto stabile. Insomma, sul piazzale di Umbriafiere, in attesa di rispondere alle 100 domande del concorso, c’è uno spaccato del giornalismo non garantito, precario o sottopagato.

Con l’alzarsi del sole i concorrenti iniziano a entrare nel loro padiglione. Dopo l’identificazione, scortati dal personale di Selexi come aerei sulla pista di decollo, si viene fatti sedere in uno dei banchi, che disposti in file geometriche ricoprono tutta la superficie del padiglione. A un tavolo rialzato siede la commissione, presieduta da Ferruccio de Bortoli, mentre una telecamere inquadra lo speaker che più volte ripete il regolamento e detta i tempi per i disbrighi burocratici. Le immagini vengono trasmesse dai monitor in tutti i padiglioni e, una volta iniziata la prova, saranno sostituite dallo scorrere inesorabile dei minuti, 75 per 100 quesiti. Tanta cultura generale, alcune domande di lingua inglese, elementi di diritto costituzionale e dell’informazione, le carte della professione e il contratto giornalistico: questi, in linea di massima, i temi dei quiz.

Durante la prova tra i banchi non vola una mosca, mentre da fuori entra il frinire spasmodico delle cicale. Ci sono circa mille persone in meno del previsto, così la sorveglianza delle addette di Selexi è ancora più attenta e capillare. Impossibile, o quasi, copiare.

All’uscita, la tensione si scioglie: chi la prende in ridere, chi è intrattabile, chi si fa una birra fresca, chi beve l’ennesimo caffè prima di rimettersi in macchina e far ritorno a casa. Tutte e tutti con in tasca la speranza di poter essere tra i primi 400 per accedere alle altre prove e continuare ad accarezzare il sogno di essere accolti nel caldo e rassicurante abbraccio di mamma Rai.