A 44 anni, Emmanuel Macron ha compiuto un'impresa. È il primo presidente della Quinta Repubblica a essere rieletto pur non trovandosi in una situazione di coabitazione pari a quella che permise ai presidenti uscenti, come François Mitterrand nel 1988 e Jacques Chirac nel 2002, di dare la colpa di tutto ciò che non funzionava a un primo ministro appartenente alla parte politica opposta.

François Mitterrand ha vinto nel 1981 su Valéry Giscard d'Estaing, Nicolas Sarkozy è stato sconfitto nel 2012 da François Hollande, che, conscio di un record di impopolarità, ha rinunciato a correre nel 2017. La performance di Emmanuel Macron è tanto più notevole se si considera che ha dovuto difendere il proprio operato, dovendo tra l’altro affrontare durante il suo quinquennato la crisi dei Gilet gialli, la pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina. Con quasi 18 milioni e 800 mila voti, pari al 58,5% del totale, ha battuto nettamente la sua rivale, Marine Le Pen: 17 punti percentuali e 5 milioni e mezzo di voti di differenza.

Un tale successo dimostra la durata della leadership personale di Emmanuel Macron e del «macronismo», che  combina tre ingredienti fondamentali: un liberismo pragmatico perché capace di mutare durante la pandemia con una spesa considerevole per la sanità pubblica; un liberalismo su questioni di costume e società combinati con politiche della memoria che hanno sollevato il velo su temi molto sensibili, come la guerra d'Algeria e il genocidio in Ruanda; infine, un costante e determinato impegno europeista, reso ancora più esplicito durante questa campagna, che sostiene, di fronte ai vari rivali sovranisti, che la Francia può essere forte solo nel quadro di un'Europa forte.

Queste presidenziali hanno rivelato che il «macronismo» ha una solida base elettorale la cui composizione è cambiata in cinque anni, con la componente di centrodestra che ora pesa più di quella di centrosinistra. Non si tratta dunque di «un incidente», come si spesso si sente dire da parte della destra classica, che accusa Macron di aver vinto per sfondamento nel 2017 approfittando delle battute d'arresto giudiziarie del candidato François Fillon, saccheggiandone il programma economico. A differenza del 2017, la vittoria di Macron non ha suscitato un entusiasmo sfrenato tra i suoi sostenitori e ora il presidente non potrà certamente contare su un analogo stato di grazia. Secondo un sondaggio Ipsos, il 46% dei francesi dice di avere «sentimenti negativi» dopo queste elezioni e il 77% prevede «disordini e tensioni» nel prossimo futuro. Emmanuel Macron ha convinto, ma non del tutto. Di conseguenza, ci sono diverse ragioni per essere preoccupati per questo secondo mandato, ma anche per lo stato della democrazia francese.

L'astensione è stata particolarmente alta. Al primo turno, più di un quarto degli elettori non si è recato alle urne, la seconda più bassa affluenza nella storia delle presidenziali francesi dal 1965, appena dietro il record del 2002, quando l'astensione raggiunse il 28%. Secondo un sondaggio Elabe, il 42% degli astenuti ha detto di aver fatto questa scelta perché non si fida dei politici e il 35% perché nessuno dei candidati è parso loro adatto. Nel secondo turno, l'astensionismo è salito di nuovo a poco più del 28%, solo tre punti in meno del tetto di oltre il 31% toccato nel 1969. Quell'anno, il secondo turno contrapponeva il candidato neogollista Georges Pompidou al presidente centrista del Senato Alain Poher. Il potente Partito comunista dell'epoca, con il 21,3% dei voti ottenuti al primo turno dal suo candidato e leader storico Jacques Duclos, invitò all'astensione perché i due politici rimasti in gara erano troppo simili l’uno all’altro.

Nel 2022, Jean-Luc Mélenchon, il leader di La France Insoumise, che ha ricevuto più del 22% dei voti al primo turno, ha fatto appello a un fuoco di sbarramento contro Marine Le Pen, ma non ha chiesto espressamente di votare per Emmanuel Macron. Di conseguenza, il 24% dei suoi elettori si è astenuto, il 17% ha votato bianca o nulla, il 42% ha scelto Macron. Questi elettori che hanno optato per l’astensione si uniscono così ai battaglioni, tra loro assai poco omogenei, di francesi che per vari motivi si rifiutano di esercitare il loro dovere civico: disinteresse o disgusto per la politica, rifiuto di scegliere tra i due concorrenti. Secondo l'Ifop, ciò che è stato decisivo per il 55% di coloro che hanno fatto questa scelta è stato che nessun candidato ha difeso o rappresentato le loro idee.

La maggior parte degli astenuti proviene dalla classe operaia e ha un basso livello di istruzione. Ma a non aver votato è stato anche il 41% dei giovani

La maggior parte degli astenuti sono uomini e donne francesi provenienti dalla classe operaia e con un basso livello di istruzione; e giovani, con il 41% dei 18-24enni che hanno disertato le urne. Inoltre, più del 6% dei francesi ha votato bianca e più del 2% ha espresso voti non validi. In questo senso, il 2022 rappresenta un nuovo punto di svolta. Vent'anni fa, il passaggio a sorpresa di Jean-Marie Le Pen al secondo turno provocò un'accesa ondata di indignazione, con manifestazioni di massa in tutto il Paese e una forte mobilitazione dell'elettorato. L'affluenza, che era bassa al primo turno, poco meno del 72%, quindici giorni dopo crebbe di otto punti. Nel 2017, al secondo turno con lo stesso scontro di oggi tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, non accadde nulla del genere. Al contrario, l'astensione fu del 25,4%, tre punti in più rispetto al primo turno.

Cinque anni dopo, questo è un dato ancora più importante. Ora, per molti francesi, Marine Le Pen è solo un candidato come gli altri. Ciò attesta il successo della sua operazione di de-demonizzazione del neofascismo e la trasformazione della sua immagine personale, che è il risultato di un ottimo e profondo lavoro di comunicazione. Marine Le Pen si è presentata come una donna moderna, sorridente, amichevole, amante dei gatti. Solo dopo essere passata al secondo turno, giornalisti ed esperti hanno cominciato a sviscerare veramente il suo programma in dettaglio, che è quello di una donna di estrema destra o di destra molto radicale, ma con un volto umano. Marine Le Pen si fa avanti sotto mentite spoglie, rinunciando a ciò che di sconvolgente era presente nella sua famiglia biologica e nella sua famiglia politica: l'antisemitismo, la difesa del regime di Vichy, l'odio per De Gaulle. Tuttavia, il suo programma include proposte tipiche dell'estrema destra. Per esempio, intende includere la «preferenza nazionale» nella Costituzione tramite referendum. Ciò introdurrebbe una discriminazione tra cittadini francesi e stranieri e abolirebbe il diritto di cittadinanza. È un modo di attuare il vecchio slogan dell'estrema destra: «La Francia ai francesi» e di sostenere de facto una concezione etno-culturale del popolo e della nazione. Anche se significa scuotere la Costituzione per organizzare questo referendum, alcuni esperti costituzionali parlano addirittura di un rischio di «colpo di Stato».

Quanto al suo programma sociale, si tratta di una forma di «sciovinismo sociale» molto rivendicato dai populisti scandinavi e che riserva il Welfare ai soli cittadini. Come se non bastasse, Le Pen mostra chiaramente le sue simpatie e la sua vicinanza a leader nazionalisti di estrema destra. Al momento, a causa della guerra in Ucraina, sta cercando di far dimenticare la sua vicinanza a Vladimir Putin, come Emmanuel Macron non ha mancato di ricordarle durante il dibattito televisivo tra i due turni. Rimane vicina a Viktor Orbán, con il quale condivide molti punti in comune, in particolare sull'Europa. Il suo progetto è identitario, xenofobo e nazionalista.

Tutto questo non le ha impedito di ottenere il miglior risultato dell'estrema destra francese. Ciò non significa che tutti i suoi elettori sostengano le sue proposte, molti votano per lei per opporsi a Emmanuel Macron, per esprimere una protesta generale o, secondo una formula usata da molti intervistati, «per provare», dopo essere stati delusi dalla destra, dalla sinistra e da Macron, e quindi dal centro. Con oltre il 41,5%, Marine Le Pen guadagna più di 2 milioni e 600 mila elettori mentre Emmanuel Macron ne perde 2 milioni.

Gli elettorati di Macron e Le Pen sono totalmente diversi per collocazione sociale, culturale, geografica, generazionale. Due parti di Francia che non si capiscono e non si fidano l'una dell'altra

I due elettorati sono totalmente diversi. Il presidente uscente è solidamente ancorato nelle due fasce d'età più estreme. Il 61% dei 18-24enni e il 71% degli over 70 ha votato per lui, mentre Marine Le Pen è più forte tra i 50-59enni (dati Ipsos). Gli elettori di Macron tendono a risiedere nell'Ovest della Francia, nella regione dell'Île-de-France, nell'Est e nell'Occitania e nelle grandi città (a Parigi ha ottenuto più dell'85% dei voti). Appartengono ai ceti più alti della società, guadagnano più di 3.000 euro al mese, sono laureati. D'altro canto, il 57% degli impiegati, il 67% degli operai e il 64% dei disoccupati hanno preferito la sua rivale, così come il 56% di coloro che guadagnano meno di 1.250 euro al mese. Lo stesso vale per le persone che vivono nelle zone rurali e nelle città di piccole e medie dimensioni. Marine Le Pen sta consolidando la sua posizione nel Sud-Est della Francia, nel Nord e nell'Est deindustrializzati, sta facendo progressi nei grandi sobborghi sud-orientali della regione di Parigi così come nel Sud-Ovest, sta facendo breccia in Corsica e soprattutto nelle Terre d'Oltremare.

Si tratta di due elettorati culturalmente diversi. Quello del presidente Macron si ritrova nei valori che incarna: ottimismo, dinamismo, fiducia, accettazione dell'economia di mercato, un'ampia apertura all'Europa e al mondo e una grande tolleranza della liberalizzazione della società. Quello di Marine Le Pen è caratterizzato da pessimismo, paura, rabbia, sfiducia nelle istituzioni, nella politica, nelle élite, ma anche negli altri, negli stranieri, nell'Europa e nella globalizzazione, da cui l'aspirazione a ritirarsi nella nazione e persino un desiderio di «preferenza nazionale». Due parti della Francia in opposizione e che non si capiscono più. Peggio ancora, non si fidano l'una dell'altra.

Nel discorso ai suoi sostenitori la sera del 24 aprile, Emmanuel Macron ha detto di essere consapevole che la sua elezione non significa il pieno sostegno al suo programma. Infatti, il 42% dei suoi elettori intendeva soprattutto bloccare la strada al suo avversario, mentre il 46% di quelli di Marine Le Pen l'ha scelta per opporsi a Emmanuel Macron. Questo secondo turno è stato quindi il confronto di due progetti chiaramente antagonisti e di due rispettivi rifiuti. Allo stesso modo, Emmanuel Macron ha preso atto della divisione del Paese per la forza del potenziale di protesta che si è espresso al primo turno, vista la somma dei voti dei candidati che incarnano una rottura radicale con il passato, indipendentemente dai quadri di riferimento mobilitati.

A volte convergenti, a volte no, Marine Le Pen, Jean-Luc Mélenchon, Eric Zemmour, il sovranista Nicolas Dupont-Aignan, il candidato «ruralista» Jean Lassalle, il comunista Fabien Roussel, i trotskisti Philippe Poupou e Nathalie Arthaud hanno superato il 60% al primo turno. Il nuovo presidente afferma di aver sentito le sofferenze dei francesi, le loro lamentele e le loro aspettative. Non gli sfugge che la loro motivazione principale nel voto non sia stata tanto la guerra in Ucraina, quanto, prima di tutto, la salute e l'aumento dei salari e del potere d'acquisto. Tra i due turni, Emmanuel Macron ha fatto molte promesse su questioni sociali e sull'ecologia, un tema al quale una grande parte dei giovani è particolarmente sensibile.

Ci si aspetta quindi che faccia molto nel suo secondo mandato, anche se in verità ha poco spazio di manovra. In primo luogo, per ragioni finanziarie che colpiscono la credibilità della Francia: il debito pubblico e il deficit sono alle stelle. Certo, spera di cambiare le regole di bilancio europee giocando sulla sua reputazione, sull'esperienza che ha acquisito come capo di Stato e sull'attuale presidenza di turno dell'Unione europea, nonché sul sollievo provocato dalla sua rielezione (la maggior parte delle capitali europee temeva la sua sconfitta); ma nulla dice che ci riuscirà, nonostante l'appoggio di Roma, dato che il governo tedesco, diviso sull'argomento, sembra essere riluttante a schierarsi con lui. In secondo luogo, deve affrontare degli ostacoli politici. Le misure di sinistra in materia sociale metteranno a disagio la parte più di destra dei suoi sostenitori; a questo proposito l'indispensabile ma esplosiva riforma delle pensioni su cui si è mosso durante la campagna, annunciando in un primo momento che l'età pensionabile dovrebbe essere portata a 65 anni e ammorbidendo un po' la sua posizione dopo il primo turno, sarà un vero banco di prova. Per quanto riguarda la sua politica ambientale, basata su un mix di energie nucleari e rinnovabili, difficilmente convincerà gli ambientalisti che si oppongono risolutamente al nucleare e che gli rimproverano di non aver agito a sufficienza contro il riscaldamento globale durante il suo primo mandato.

Detto ciò, tutte le questioni sin qui citate conteranno per la nuova campagna che sta iniziando, quella per la designazione dell'Assemblea Nazionale: le elezioni del 12 e 19 giugno si preannunciano assai incerte.